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L’universo in una scia

L’universo in una scia

Mappe celesti /2 Il racconto della missione Rosetta e la struttura delle comete, fossili inalterati che conservano tracce e testimonianze delle condizioni primordiali del nostro Sistema Solare, intorno ai 4,6 miliardi di anni fa

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 5 agosto 2015

Le immagini dell’urlo di Andrea Accomazzo, il responsabile di missione della sonda Rosetta e personaggio dell’anno 2014 per la rivista Nature, al momento dell’atterraggio del Lander Philae sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko hanno fatto in pochi secondi il giro del mondo. Un urlo liberatorio che ha coinvolto tutti i partecipanti a quello straordinario evento, il punto di arrivo di una storia iniziata trenta anni prima.
La missione interplanetaria Rosetta parte, infatti, da molto lontano: nel 1985 quando fu selezionata come missione Cornerstone (le missioni spaziali più importanti) del programma Horizon 2000 dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ma è stato nel giugno 1986 all’Università del Kent a Canterbury che si svolse il primo convegno dedicato alla definizione degli obiettivi scientifici della missione: avvicinare una cometa, rilasciare un lander attrezzato per la raccolta e la preservazione di un campione della superficie e, infine, riportare il campione a Terra per l’analisi in laboratori dedicati. A questa missione era stato assegnato un nome provvisorio sicuramente poco evocativo per una missione così ambiziosa, si chiamava infatti Comet Nucleus Sample Return (Cnsr). L’Esa proveniva dal successo della missione Giotto che nel marzo di quello stesso anno aveva sorvolato alla sorprendente velocità di 60 Km/s la cometa di Halley ottenendo immagini uniche e risultati scientifici sui ghiacci e composti organici presenti nella cometa; con questa nuova missione si proponeva di stabilire la leadership mondiale nello studio di comete e corpi minori.

Ma perché tanto interesse per questi corpi piccoli, scuri e apparentemente insignificanti? Intanto, avvicinandosi al Sole producono una coma che si estende per centinaia di migliaia di km e, in alcuni casi, diventano gli oggetti più spettacolari osservabili nel cielo notturno. Ma ci sono delle motivazioni scientificamente più solide che hanno anche a che fare anche con la nostra presenza su questa Terra.

Fonti d’acqua
Le comete passano la maggior parte della loro vita in due regioni del Sistema Solare molto distanti dal Sole: la fascia di Kuiper, che si estende aldilà dell’orbita di Nettuno tra 4.5 e 7.5 miliardi di km dal Sole, e la nube di Oort, che si ipotizza contenere centinaia di miliardi di comete e che si estende ben oltre i 150 miliardi di km dal Sole. A queste distanze le temperature non superano i 20-30 gradi Kelvin (-253/-243 gradi centigradi) ed anche le molecole e gli elementi più volatili (metano, CO, gas nobili, ecc.) sono presenti sotto forma di ghiaccio o sono intrappolati nel ghiaccio d’acqua. Le comete sono arrivate in queste regioni remote del Sistema Solare, dopo essere state espulse, nei primi cinquecento milioni di anni del Sistema Solare, a causa delle interazioni gravitazionali con i pianeti giganti. Le comete sono pertanto dei «fossili» pressoché inalterati che portano tracce e testimonianze dei processi avvenuti e delle condizioni presenti ai primordi del nostro Sistema Solare, intorno ai 4.6 miliardi di anni fa.

L’acqua è l’elemento più importante per la nostra vita e le comete ne rappresentano una fonte estremamente rilevante in quanto la loro composizione è per circa l’80% (in massa) di acqua.
Ma l’acqua da sola non è sufficiente alla vita, abbiamo bisogno anche del carbonio e di molecole organiche (ovvero contenti carbonio) complesse. Una grande abbondanza di molecole organiche complesse si trova nel mezzo interstellare ovvero in quella distribuzione di polveri e gas che, addensandosi per effetti gravitazionali, dà vita alle stelle e di conseguenza ai pianeti che della formazione stellare sono i residui.
La composizione delle comete ha delle notevoli somiglianze con la composizione della materia interstellare. Idrocarburi aromatici (benzene, ecc.) o alifatici (metano, etano, ecc.), alcooli (metanolo, ecc.), acidi carbossilici e ammidi (acido formico, acido acetico, formamide, ecc.), ammine, sono tutti composti alla base della chimica prebiotica ed osservati nel mezzo interstellare e nella coma di comete. Le comete rappresentano, quindi, la chiave per capire i processi che hanno portato all’evoluzione della vita sulla Terra ed attraverso questi capire se altre forme di vita possano essersi sviluppate su altri pianeti non necessariamente del nostro Sistema Solare.

Il laboratorio va in cielo
Ad ogni passaggio vicino al Sole le comete perdono una notevole quantità di materia attraverso la sublimazione dei gas e la formazione della coma di polvere; intorno al perielio, la fase di massimo avvicinamento al Sole, si raggiungono picchi di perdita di massa che variano tra i 100 e 10mila kg al secondo. Le comete si evolvono perciò molto rapidamente e hanno una vita relativamente breve che le porta a spegnersi (se la polvere forma una crosta e interrompe quindi l’attività di sublimazione) o a frammentarsi, come nel caso estremamente spettacolare della cometa Shoemaker-Levy che, nel 1994, è stata la prima osservata nella sua caduta verso un pianeta (Giove in questo caso).

Montage_of_Jupiter_and_SL9
Montage of Jupiter and SL9

Ma torniamo alla missione Rosetta. Dopo alcuni anni di studio della missione Cnsr, l’Esa si è resa conto dell’impossibilità di preservare un campione della cometa fino a Terra in condizioni simili a quelle presenti sulla cometa stessa (temperature minori di -150C e in condizioni di vuoto) con la tecnologia disponibile all’epoca. Si è scelta, pertanto, l’unica strada alternativa, ovvero portare il laboratorio di analisi sulla cometa per mezzo di un lander.

È nata così nel 1994 la missione Rosetta (così come la stele di Rosetta ha permesso di decifrare i geroglifici, così la missione si pone l’obiettivo di decifrare l’evoluzione del Sistema Solare attraverso l’analisi della cometa) e il lander Philae (dal nome dell’isola lungo il Nilo dove si trovavano alcuni obelischi che hanno permesso di completare l’opera di decifrazione). Nel 1994 sono stati scelti gli strumenti da montare a bordo dell’Orbiter Rosetta e del Lander Philae. La partecipazione italiana è rilevante: lo spettrometro ad immagine Virtis, che studia la composizione della superficie del nucleo e ne misura la temperatura, e Giada, un rivelatore che misura sia la velocità che la massa dei grani di polvere cometari, si trovano a bordo dell’orbiter e sono sotto la responsabilità diretta di ricercatori italiani (il sottoscritto dell’Inaf per Virtis e Alessandra Rotundi dell’Università Parthenope di Napoli per Giada), una parte dello strumento Osiris, la fotocamera che produce le fantastiche immagini disponibili sul sito web dell’Esa (http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Rosetta), è stata realizzata sotto la guida di Cesare Barbieri dell’Università di Padova. Infine, Amalia Ercoli Finzi, del Politecnico di Milano, ha la responsabilità del trapano, che è servito a raccogliere campioni della superficie da distribuire ai vari strumenti a bordo del Lander.

Rosetta è stata lanciata il 4 marzo 2004 ed ha raggiunto nel 2014 la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko (dai cognomi dei due astronomi russi che l’hanno scoperta nel 1960), amichevolmente denominata 67P/CG. L’atterraggio di Philae, avvenuto il 12 novembre 2014, è stato un evento mediatico di portata mondiale. Ma la sonda Rosetta continua tuttora la sua missione scientifica accompagnando la 67P/CG nel suo percorso attraverso il Sistema Solare, il perielio è previsto per il 13 agosto 2015, fino alla metà del 2016 quando Rosetta si troverà troppo distante dal Sole perché i pannelli solari possano produrre abbastanza energia.

Chiome e gas
I primi risultati della missione sono stupefacenti. La 67P/CG sta confermando tutte le aspettative della missione Rosetta: è una cometa sicuramente formatasi in un ambiente primordiale e probabilmente non ha mai passato troppo tempo nella parte interna del Sistema Solare dove le condizioni di temperatura potessero alterare la sua composizione.

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La cometa il 7 luglio del 2015

La 67P/CG ha una densità molto bassa, metà di quella dell’acqua, ha quindi una struttura porosa; morfologicamente è piuttosto diversa da tutte le comete osservate finora, con due distinti lobi che fanno ipotizzare l’aggregazione di due corpi originariamente indipendenti; l’abbondanza relativa dell’Idrogeno e del suo l’isotopo pesante (il Deuterio), nell’acqua osservata nella coma è diversa da quella dell’acqua osservata sulla Terra e questo sembra indicare che la maggior parte dell’acqua sulla Terra non sia di origine cometaria; 67P/CG è uno degli oggetti più scuri del Sistema Solare ed è particolarmente ricca di composti carbonacei poliaromatici, delle molecole organiche complesse osservate per la prima volta in forma solida sulla superficie di una cometa.

La chioma della 67P/CG è un campionario di tutti i gas (acqua, CO e CO2 i più abbondanti) osservati finora nella altre comete. Le particelle di polvere presenti nella coma hanno due tipologie: polvere molto porosa, probabilmente una matrice residua dopo la sublimazione del ghiaccio che ne riempiva i vuoti, e polvere compatta con una densità compatibile con misture di ghiacci, minerali e materiale organico. Tutte queste informazioni sono state confermate in gran parte dai risultati preliminari del lander Philae.
Vorrei infine concludere con un ricordo di Angioletta Coradini, collega ed amica, ma soprattutto la scienziata che più ha contribuito negli ultimi trent’anni allo sviluppo della planetologia spaziale in Italia e che, purtroppo, ci ha lasciati nel 2011. È stata una degli architetti della missione Rosetta come esponente del team che l’ha proposta e, successivamente, come responsabile di uno degli strumenti italiani. Angioletta Coradini ha contribuito in maniera essenziale a rendere questa missione ambiziosa ed audace, così come era lei, un’avventura che ci sta portando indietro nel tempo verso le nostre origini.

2- continua (sul Manifesto del 4 agosto, la prima puntata della serie dedicata alla contemplazione del cielo, con l’articolo di Bruno Accarino “Una nostalgia troppo siderale”)

 

SCHEDA SULLA COMETA DONATI

La cometa C/1858L1 – è questo il suo nome ufficiale – è meglio nota come Grande Cometa Donati (il termine Grande Cometa si usa per le comete di luminosità eccezionale). Il suo scopritore, l’astronomo Giovanni Battista Donati, fu un pioniere della spettroscopia stellare e durante la sua direzione del Museo di Storia Naturale di Firenze fu costruito, nel 1872, l’Osservatorio di Arcetri.
La cometa Donati è stata veramente eccezionale da molti punti di vista: osservabile da agosto a ottobre nell’emisfero nord e, successivamente, dall’emisfero sud fino al marzo del 1859. Poco dopo il passaggio al perielio raggiunse la sua massima visibilità con una chioma che si estendeva per 40 gradi (con il braccio teso l’apertura della mano tra pollice e mignolo sottende 20 gradi).

Fu la seconda cometa più luminosa del’Ottocento, descritta da Flammarion come «l’une des plus belles comètes du XIXème siècle», e la prima ad essere fotografata, il 28 settembre 1858 da William Usherwood, un fotografo commerciale inglese che batté sul tempo l’astronomo americano William Bond.

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Honoré Daumier

L’opinione pubblica europea rimase totalmente affascinata dal fenomeno astronomico anche grazie ai resoconti dettagliati di giornali e riviste (New York Times, Harper’s Weekly, Le Monde Illustrée, The Illustrated London News, Le Charivari, The Punch). È famosa la vignetta del caricaturista Honoré Daumier relativa all’astronomo Bobinet, un serio professionista ma soggetto alle gaffes, allertato dalla sua portiera della presenza della cometa. Charles Dickens la descrisse in un pezzo pubblicato sul suo settimanale Household Words lasciando nel dubbio i suoi lettori sulla esistenza di abitanti sulla cometa («Dunque, dobbiamo esitare prima di decidere che la cometa di Donati non possa avere i suoi abitanti, li possiamo immaginare mentre si svegliano e danzano, che si avvicinano al sole come uno sciame di moscerini, per poi cadere di nuovo in letargo, quando il loro lungo inverno ricomincia».

Hawthorne ne ricorda la magnificenza nel diario del suo viaggio in Italia con la moglie («Il podere era stato dato in gestione ad alcuni contadini che erano sempre pronti a rifornirci di fichi e uva, come volevamo. Ogni giorno, dopo il tramonto, la cometa Donati potente e brillante si estendeva su tutta la valle in un grande e andente arco, rimanendo visibile fino al mattino dopo»).

William Dyce,
William Dyce, “Pegwell bay, Kent, a recollection of october 5th 1858”

Anche Thomas Hardy trasse ispirazione dalla cometa Donati per il suo poema The Comet at Yell’ham del 1902, nel quale il tema del passaggio del tempo e della brevità della nostra vita oscurano la bellezza e la potenza dell’evento.

Una analoga meditazione ha ispirato il pittore William Dyce (1806-1864) in uno dei più memorabili paesaggi preraffaelliti, nel quale la semplicità del vivere quotidiano, le persone che con la bassa marea raccolgono frutti di mare, si confronta con l’immensità dello spazio, la cometa, e la profondità del tempo che strato su strato ha prodotto la parete a picco sul mare (Pegwell Bay: A Recollection of 5th October 1858).
Infine una rappresentazione meno didascalica ma ugualmente dotata di profondità di intenti, una riflessione sulla natura e sull’universo, è quella proposta da William Turner di Oxford (1789-1862), in Near Oxford half past 7 o’clock, p.m., Oct. 5, 1858. (Fabrizio Capaccioni)

William Turner of Oxford, Cometa Donati
William Turner of Oxford, Cometa Donati

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