Cultura

Una cosmogonia dal gusto new age

Una cosmogonia dal gusto new age«Icarus» di Henri Matisse, 1947

Mappe celesti / 10 Un ritratto dell'ultimo dei cosmologi: Pierre Teilhard de Chardin. Secondo il gesuita francese, l’uomo è il centro e il fine ultimo di quello sviluppo dell’universo permanente che procede in alto verso Dio, ma anche orizzontalmente, nella noosfera, vero «luogo» della nostra socializzazione

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 15 agosto 2015

La questione delle origini dell’universo ha sempre interessato le grandi religioni monoteistiche. Come è noto, la ricerca sull’evoluzione e la cosmologia astronomica sono state poi alla fondamenta della scienza moderna, in contrasto con la pretesa della Chiesa di custodire il mistero dell’Arché. Se tale conflitto può dirsi oggi risolto, almeno per quanto riguarda l’accettazione dell’evoluzionismo, lo si deve anche a Pierre Teilhard de Chardin: lui, gesuita, paleontologo e forse l’ultimo dei cosmogoni che alla ricerca di un’armonia universale ha dedicato l’intera vita.

Un sistema per l’integrità
Occorre specificare che Teilhard è stato un visionario, ma non nel senso con il quale veniva etichettato dai suoi detrattori. Come ha osservato Giancarlo Vigorelli, il primo biografo italiano di Teilhard, il gesuita francese ha interrogato il mondo della scienza dal suo interno e proprio quest’internità ha finito per infastidire i teologi. Nello stesso tempo, il suo pensiero ha faticato a farsi largo nella cultura europea e ciò nonostante l’alta considerazione che il teologo-paleontologo godeva tra gli scienziati (basti pensare al riconoscimento tributatogli dall’Unesco).
Punto di partenza di quel pensiero è l’idea che il Cosmo costituisca «per l’integrità inattaccabile del suo insieme, un sistema, un Totum e un Quantum: un sistema per la sua molteplicità – un Totum per la sua unità, – un Quantum per la sua energia… La scoperta fondamentale, secondo la quale tutti i corpi traggono origine dall’arrangiamento di un unico tipo iniziale corpuscolare, è il lampo che illumina ai nostri occhi l’intera storia dell’Universo. È come dire che la Materia, in certo modo, obbedisce sin dalle origini, alla grande legge biologica della complexificazione». «A questa complessità cosmica – prosegue Teilhard – deve corrispondere quindi una totalità umana anch’essa tendente all’unità armonica verso la quale procede l’intero percorso evoluzionistico».

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In estrema sintesi, la scommessa di Teilhard consiste nell’inserire la teoria evoluzionistica all’interno di una visione progressiva della Creazione. L’umanità è chiamata a partecipare a questo processo di cosmogenesi continua, mettendo da parte l’individualismo e riconoscendosi come soggetto privilegiato dell’evoluzione: «le atroci lotte che si sono succedute per migliaia di milioni di anni nel corpo stesso del Mondo – scrive Teilhard – a saperle guardare, hanno tutte una fatalità unitaria che diviene una finalità globale». Quella finalità è il Punto Omega divino rivelato dal Cristo e dal suo sacrificio.

Oltre il caos

Ma da dove viene la cosmogonia teilhardiana? La vocazione per la scienza si manifesta in lui già durante il quadriennio d’insegnamento di chimica e fisica al Cairo e poi nel corso degli studi di teologia in vista dell’ottenimento del sacerdozio. Nel 1912 Teilhard celebra la sua prima Messa. In quello stesso anno, rientrato a Parigi, entra in contatto con Marcellin Boule, noto paleontologo; l’anno successivo con Henri Breuil, uno dei più importanti esperti di preistoria in circolazione. A indirizzare il giovane novizio su questi terreni sono state le letture di Newman e Bergson. Dal primo, in particolare, Teilhard prende l’idea che ci sia bisogno di «presentare il dogma in maniera più reale, più universale, più cosmogonica». Una conferma gli viene qualche anno dopo dall’esperienza della Prima guerra mondiale, alla quale partecipa in qualità di barelliere e che Teilhard interpreta come «un caso estremo e anormale di rinuncia ai diritti e alle aspirazioni dell’individuo». Invertire il disordine sarà lo scopo della sua filosofia.

Nei primi anni Venti il giovane gesuita ottiene l’incarico per il corso di paleontologia e geologia all’Institut catholique di Parigi. Un documento inviato ad alcuni teologi di Lovanio sul peccato originale, e sul bisogno di leggerlo alla luce della teoria evoluzionista, gli causa il primo scontro disciplinare con i superiori della Compagnia e l’allontanamento dall’università cattolica. Decide quindi di lasciare il Paese e nei vent’anni successivi si trova in Cina, dove partecipa a una serie di spedizioni che porteranno alla scoperta dell’«Uomo di Pechino», importante fossile di Homo erectus del Pleistocene. Tra il 1926 e il 1927, e con successivi aggiustamenti nel corso delle peregrinazioni per il continente asiatico, redige Le Milieu divin, un libro di alta mistica con il quale si propone di persuadere la Chiesa ufficiale della propria ortodossia. Occorre precisare che, pur senza rinnegare le proprie idee, Teilhard ha scelto sempre la strada dell’obbedienza, con tutte le rinunce che ne sono seguite. Già in quest’opera non mancano però pagine molto dure contro quei cristiani che vivono la propria fede come separata dal mondo. Il profano non esiste – spiega Teilhard – e tutto deve essere considerato sacro. È inaccettabile che ci sia chi si ritiene già salvo, mentre la maggioranza dell’umanità continua a combattere per la sopravvivenza.

Il 1948 è l’anno chiave nella vita di Teilhard. Rientrato da due anni a Parigi, gli arriva la proposta di una cattedra al Collège de France. Decide quindi di recarsi a Roma per ottenere l’autorizzazione, nonché l’imprimatur per la sua ultima opera Le Phénomène, trattato rivolto agli scienziati allo scopo di indicare nell’unità evolutiva del genere umano la fine di ogni catastrofe sociale. Dal Sant’Uffizio non ottiene né l’una né l’altro e gli viene ordinato di non scrivere più di teologia. Siamo alla vigilia della «crociata» contro la nouvelle théologie francese e il nome di Teilhard rientra tra i sospettati di neo-modernismo e di contaminazione con il marxismo. Ancora una volta, il gesuita opta per l’obbedienza e si trasferisce a New York – «l’ultimo esilio», come scrive Vigorelli – dove viene nominato collaboratore permanente di un’importante fondazione per la ricerca antropologica.

Continua a viaggiare in Sud Africa e Rhodesia e a scrivere sulla rivista dei gesuiti francesi Etudes, all’epoca fucina del rinnovamento teologico. Sarà necessario attendere alcuni anni dalla morte, avvenuta nel 1955, per la pubblicazione del Phénomène e delle altre opere. Ci vorrà il Vaticano II perché venga superato il divieto emanato dal Sant’Uffizio di acquistare le opere di Teihlard per le biblioteche ecclesiastiche e ancora di più perché il suo nome venga accettato anche al vertice della Chiesa.

Genesi e Big Bang
Dopo che già Paolo VI aveva parlato con favore dell’impresa conciliatrice di Teilhard, papa Ratzinger ha riconosciuto il contributo dato dalla «visione teilhardiana» al Concilio Vaticano II. In questo 2015, anno della ricorrenza dei sessant’anni dalla morte, Bergoglio ha citato il teologo-scienziato nella sua enciclica sul Creato e parlando alla Pontificia Accademia delle Scienze ha negato la contrapposizione tra il racconto di Genesi e il Big-Bang. La notizia in sé non può che far sorridere, ma proprio grazie alla vicenda di Teilhard de Chardin siamo in grado di coglierne il sottointeso.

Nella mappa celeste del gesuita francese l’uomo è il centro e il fine ultimo di una cosmogonia permanente che procede in alto verso Dio, ma anche orizzontalmente, in quella che chiama la «noosfera», verso la socializzazione, il progresso umano e la pace. Il vero scontro aveva quindi come posta in gioco il progetto di un nuovo umanesimo, moderno, contaminato con la scienza e condiviso a livello planetario. È su questo piano, fondamentale per i teologi della liberazione, che ancora oggi si misura la credibilità della Chiesa di Papa Francesco.

 

SCHEDA

Il pensiero del gesuita francese è stato variamente interpretato, soprattutto è stato particolarmente amato dai diversi movimenti New Age: in una ricerca condotta dalla scrittrice e Marilyn Ferguson (considerata una portavoce della «nuova era»), che nel 1997 spedì un questionario a duecento persone attive nei diversi campi della trasformazione sociale, ben 185 risposte finirono per riconoscere che la personalità di Teilhard de Chardin aveva avuto un influsso speciale sul loro modo di pensare (in primo luogo, il suo concetto di «coscienza in evoluzione»). Il gesuita cosmologo è stato molto sponsorizzato anche dai cibernauti di Internet, che hanno ritenuto di scorgere in lui il loro vate e protettore filosofico. Nato nel 1881 nel castello di Sarcenat, nei pressi di Orcines (Puy-de-Dôme), Teilhard era il quarto degli undici figli di Emmanuel, naturalista, e di Berthe-Adèle de Dompierre d’Hornoy, una pronipote di Voltaire. Quando, negli anni ’60, ormai scomparso l’autore, il suo pensiero cominciò a diffondersi, le sue teorie vennero accusate di panteismo e considerate poco ortodosse rispetto la dottrina cattolica.
Qui di seguito, pubblichiamo una bibliografia, con riferimento alle sue opere scientifiche.

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«Il fenomeno umano», Edizioni Queriniana, 1995 (è considerato il suo libro più importante); «L’apparizione dell’uomo», Il Saggiatore, 1979;
«La visione del passato», Il Saggiatore, 1973; «L’ambiente divino», Edizioni Queriniana, 1994; «Il futuro dell’uomo», Il Saggiatore, 1972
«L’energia umana», Edizioni Pratiche, 1997; «Il posto dell’uomo nella natura», Il Saggiatore, 1970; «La scienza di fronte a Cristo. Credere nel mondo e credere in Dio», Edizioni. Il Segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano, 2002; «La mia fede», Edizioni Queriniana, 1973; «Le direzioni del futuro», Edizioni SEI, 1996; «La vita cosmica», Il Saggiatore, Milano 1970 e 1982; «Il cuore della materia», Edizioni Brescia Queriniana, 1993; «Realizzare l’uomo» (lettere 1926/52), Il Saggiatore, 1974

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