L’Odissea greca senza fine
Eurogruppo Lo sblocco del prestito, per far far fronte alle scadenze (e il resto per l'economia greca). Difficile intesa tra creditori europei e Fmi sull'alleggerimento del debito, il governo greco obbligato a fare da spettatore mentre la Ue vuole voltare pagina
Eurogruppo Lo sblocco del prestito, per far far fronte alle scadenze (e il resto per l'economia greca). Difficile intesa tra creditori europei e Fmi sull'alleggerimento del debito, il governo greco obbligato a fare da spettatore mentre la Ue vuole voltare pagina
La Grecia è formalmente sotto tutela, un’imposizione dell’Fmi per restare nel «piano di aiuti» accettata con grande favore dai creditori europei.
Sblocco dei fondi del «piano di aiuti», iniziato nell’agosto 2015 e poi sospeso in autunno, già «nelle prossime settimane», secondo il presidente dell’Eurogruppo, Jeoroen Dijsselbloem, quando potrebbero venire versati a termine fino a 11 miliardi di euro. E in prospettiva apertura della discussione su un alleggerimento del debito, ormai pari al 180% del Pil, promessa fatta nel 2012, ripetuta l’estate scorsa e mai mantenuta, ipotesi che la Germania cerca di rimandare il più possibile, almeno dopo le proprie elezioni legislative del 2017.
L’Eurogruppo di ieri, il secondo in quindici giorni dedicato alla crisi greca, «è una tappa importante verso il porto» dell’Odissea di Atene: ha riassunto il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici. L’Fmi resta in gioco, come pretende la Germania, per «addolcire» la fattura che peserebbe sulle spalle dei «contribuenti tedeschi». Dijsselbloem aveva avvertito: «Lo scopo della riunione è l’accordo con l’Fmi». L’importante, dal punto di vista di Bruxelles, è che la crisi greca passi finalmente in secondo piano nell’agenda, a un mese dal voto sul Brexit, mentre i rischi di ribellione populista contro la Ue sono stati arginati, almeno nell’immediato, con il voto austriaco. Resta il dramma della divisioni sui rifugiati.
L’Eurogruppo ha dovuto riconoscere che la Grecia ha fatto «i compiti» del diktat «prestito contro riforme» dell’agosto 2015: l’austerità è stata varata in varie ondate, l’ultima domenica scorsa, che comprende anche la «pinza tagliente», clausola-capestro del meccanismo di correzione automatica del deficit pubblico, in caso di non rispetto degli impegni, con possibili tagli fino al 2,5% del Pil. Jens Weidmann, alla testa della Bundesbank, ha difatti adottato la stessa linea di sempre: «Il problema più urgente per la Grecia non è il servizio del debito, ma il rispetto del programma».
Per Alexis Tsipras, è un po’ «prendi i soldi e scappa»: Atene avrà a termine 11 miliardi sbloccati, una nuova tranche che permette allo stato greco di sopravvivere fino al 2017, facendo fronte intanto alle prime scadenze di luglio (2,3 miliardi di rimborsi alla Bce, 400 milioni all’Fmi), poi altri rimborsi fino a 7,2 miliardi. Restano 3,8 miliardi, l’equivalente del 2% del Pil, che serviranno allo stato greco per pagare gli arretrati ai fornitori: una buona notizia, perché è la prima volta che dei soldi di «aiuti» ad Atene non tornano immediatamente nelle tasche dei creditori (delle loro banche) e possono circolare nell’economia del paese.
La Bce dovrebbe inoltre permettere di nuovo alle banche greche di rifinanziarsi con il collaterale del debito, in altri termini un passo verso un ritorno a un po’ di normalità. Restano le pesanti condizioni imposte dall’Eurogruppo. L’eccedente primario di bilancio rimane del 3,5%, una cifra impossibile, che non farà che soffocare ogni tentativo di ripresa. Il Fondo monetario internazionale diretto da Christine Lagarde, nell’analisi di «sostenibilità» del debito greco pubblicata lunedì, alla vigilia dell’Eurogruppo, prevede una crescita debole dell’economia greca (1,75% l’anno) mentre il paese è crollato del 28% negli ultimi sette anni. L’Fmi ha proposto una moratoria sul debito greco fino al 2040, per tutti i rimborsi (interessi e capitale) e di spalmarli poi fino al 2080. Questo avrebbe permesso di mantenere i bisogni del finanziamento del debito greco sotto il 10% del Pil, con un’esigenza di eccedente primario ridotta all’1,5% di qui al 2040 (invece del 3,5). Ma per la Germania è nein. I governi europei sono soprattutto preoccupati di giustificare presso i propri elettori i «rimborsi» del cattivo allievo greco e con approccio miope danno un ulteriore colpo alla coesione della moneta unica.
In sostanza, i creditori europei, Germania in testa (le legislative sono il prossimo anno), cercano di rimandare le decisioni a più tardi, per discutere la questione dell’alleggerimento del debito dopo il 2018, cioè alla fine del «programma di aiuti». Ma il Fmi deve avere delle «garanzie» per continuare a impegnarsi verso un paese che deve avere un debito «sostenibile». Perciò pretende un programma di rimborsi, deciso subito nei dettagli. Solo così Christine Lagarde può presentarsi al board Fmi e chiedere il via libera per rientrare a pieno titolo tra i creditori nel terzo programma di salvataggio. E proprio la partecipazione del Fmi è considerata dall’Eurogruppo, ma ancor più per i deputati del Bundestag, la garanzia necessaria per allentare la morsa sul governo di Atene.
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