Cultura

L’obiettivo errante di Henri Cartier-Bresson

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Scatti "Henri Cartier-Bresson. Storia di uno sguardo" di Pierre Assouline per Edizioni Contrasto

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 8 aprile 2015

Scrive Pierre Assouline: «Già si annuncia il ladro che è in lui, come in qualsiasi fotografo che si rispetti. Comunque si voglia considerare il problema, infatti, la fotografia è un furto. Bisogna scattare senza riflettere perché l’imprevisto non si presenterà più. Fin dalle prime foto, Cartier-Bresson prende coscienza della violenza del proprio atto quando comporta il contributo dell’uomo, e non più soltanto della natura e del mondo inanimato degli oggetti». Sono pochi, tra i grandi fotografi, ad aver questo senso morale e Henri Cartier-Bresson è uno di questi. Un coerente e corposo «aficionado» del bianco e nero, che esclude il colore perché lo ritiene appannaggio della pittura. Un avversario del flash perché «annienta le ramificazioni segrete che esistono fra il fotografo attento e il suo soggetto». Insomma un artista complesso e affascinante.

Ora, una corposa biografia di Pierre Assouline Henri Cartier-Bresson. Storia di uno sguardo (Edizioni Contrasto, pp. 400, euro 24,90) ci restituisce l’affresco di una vita avventurosa. «Una vita è come una città: per conoscerla ci si deve perdere» racconta l’autore di questo viaggio critico nell’universo Cartier-Bresson. E così scorre la vita di questo figlio ribelle di una famiglia borghese, passato dall’interesse per la pittura all’amore per il surrealismo, dai giovanili viaggi in Africa al ritorno in Francia per darsi anima e corpo alla fotografia. Una scelta che sente più vicina alla sua visione di movimento che non la staticità della pittura. La sua è stata una ricerca di bellezza scandita dai viaggi: in Messico dove realizza un altro dei suoi capolavori sull’amore lesbico, a New York dove ritorna sempre carico di scatti rubati come «un bacio appassionato ma anche come un colpo di pistola». È antifascista e attratto dall’impegno anche se non lo entusiasmano gli schemi. Ritorna a Parigi dove è deciso a darsi al documentario cinematografico riuscendoci soltanto anni dopo. Ma intanto le sue foto conquistano il mondo; un successo che lo porterà alla fondazione della Magnum (insieme a Capa, Chim, Rodger, Vandivert) da cui, inquieto come sempre, si distaccherà anni dopo, così come prenderà le distanze dal suo amato surrealismo.

Girerà il mondo, dalla Cina all’India in momenti decisivi della storia regalandoci foto memorabili. Anche se la sua vita può racchiudersi in due autoscatti: agli inizi della carriera disteso con i suoi piedi sullo sfondo su di un muretto in Italia, e alla fine con la sua ombra che si staglia nel paesaggio della sua Francia. Dove ritornerà per abbandonare la fotografia per il disegno. Altro sintomo della sua capacità di mutamento cioè della sua grandezza artistica.

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