Lo sguardo di un vecchio “perennial”
La volta precedente ho usato con qualche esitazione un neologismo che, lì per lì, mi sembrava di dubbio gusto. Ma ho scoperto che quella parola tocca sensibilità diffuse.
È successo quel che non troppo frequentemente accade. Al mio lettore n.1 quella rubrica è assai piaciuta (cosa che mi riempie di soddisfazione), e anche un vecchio amico e compagno (tra l’altro importante scrittore, studioso, e collaboratore di questo giornale) mi ha scritto confessando di sentirsi un po’ stretto nella condizione di “nonno” in cui lo rinchiudono i giovani nipoti. Sono certo che sia un nonno affettuoso, ma giustamente osserva: «…i giovanissimi sono abituati a pensare a noi solo con questo ruolo, come se non avessimo più altro scopo nella vita e non possiamo più usare la nostra “esperienza” per consigliarli (quando serve naturalmente). I nonni sono persone, anche qui ci vorrebbe una rivoluzione culturale… un abbraccio da perennial».
Eccolo il neologismo. Che mi torna indietro anche grazie allo Spi, il sindacato dei pensionati italiani della Cgil, che gentilmente mi ha fatto avere una copia del libro scritto da Ivan Pedretti, che dello Spi è segretario nazionale. Il titolo è proprio Perennial, seguito dal sottotitolo L’Italia che invecchia e che vuole ancora darsi da fare (Futura editrice, 2022). Ho appreso dall’autore che il termine da me scoperto grazie alla recensione di un saggio pubblicato all’estero, ha una storia non brevissima, essendo stato coniato da una “direttrice creativa e imprenditrice tecnologica” americana, Gina Pell, nel 2016, e già raccolto tra i neologismi dal vocabolario
Treccani che così lo traduce: «persona in grado di adattarsi alle novità e ai cambiamenti, a prescindere dall’età anagrafica». Quindi stando a questa definizione anche un millennial , e persino un giovanissimo della generazione Z potrebbe fregiarsi del termine. Perché allora si usa soprattutto per evocare i baby boomers anni ’50, come il sottoscritto e il segretario dello Spi autore del libro?
Forse perché soprattutto noi dobbiamo saper affrontare i cambiamenti e adattarci alle novità?
In poco meno di 150 pagine il testo di cui parliamo offre una interessante panoramica, e un particolare sguardo sulla vita di quei 16 milioni di pensionati italiani (due e mezzo dei quali iscritti allo Spi nelle sue 2000 sedi) di cui 14 milioni sono ultrassessantacinquenni.
Una galassia “in movimento” si direbbe, seguendo una “carrellata” in 12 capitoli che passa in rassegna tante realtà, dalle preziose esperienze di volontariato, in particolare quelle attivate durante il trauma del Covid, alle attività culturali e sociali, alle ricerche promosse con la Normale di Pisa, o con l’Ires Cgil dell’Emilia Romagna insieme alle organizzazioni studentesche.
Già perché qui non si parla solo della condizione degli anziani, ma anche di quella giovanile. Soprattutto di una vita troppo spesso fatta di precarietà, di fughe all’estero per trovare un impiego decente e adatto alle proprie conoscenze.
Vengono fuori anche proposte interessanti, come l’esigenza che lo Stato si impegni fin da ora a garantire alle pensioni future quello che certamente mancherà per arrivare a un reddito minimo di almeno un migliaio di euro.
E non vengono dimenticati naturalmente i 3 milioni e mezzo di persone anziane che non sono autosufficienti, e che dovrebbero avere, subito, tutta la cura di cui hanno bisogno.
Immagino che i perennials impegnati in questi pensieri, in queste battaglie, non faranno mancare la loro voce sabato prossimo, alla manifestazione che dovrebbe materializzare un’altra idea di paese.
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