In merito, nella stessa Fao si sta da tempo negoziando un bando per i pesticidi altamente dannosi, incontrando tuttora forti resistenze da parte di alcuni Paesi Membri. Per dare un’idea, una ricerca della Ong Public Eye ha stimato che Syngenta nel 2017 ha realizzato 3,9 miliardi di dollari di vendite di pesticidi altamente dannosi, pari a 400.000 tonnellate e al 40% del suo fatturato agrochimico. Ma il blame game ha una posta alta: in un mondo fragilizzato e impaurito da pandemia e guerre, esposto a una prolungata fiammata dei prezzi energetici e dell’agroalimentare, vanno tracciate narrazioni sulle cui fondamenta edificare politiche o strategie di finanziamento e intervento: scarsità e rincaro di materie prime, merci e beni essenziali sono una straordinaria opportunità per speculare sul mercato finanziario e delle idee.

La sparata del capo di Syngenta segue la pubblicazione di un report di Ipes-Food sulla tempesta perfetta che si è abbattuta sul sistema alimentare: co-redatto dall’ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo, Olivier de Schutter, il documento sottolinea come, a distanza di 15 anni dalla crisi alimentare che ha caratterizzato il triennio 2007-‘09, il sistema alimentare resti strutturalmente dipendente dall’importazione di cibo, ancorato a un sistema produttivo logorato, aggravato dalla speculazione e vulnerabile a shock di prezzi. Un quadro che, a ben vedere, non riguarda produzione e consumo di alimenti biologici. Anzi.
Classicamente, si riconoscono quattro dimensioni della sicurezza alimentare. La prima, quella della disponibilità di alimenti, riveste il ruolo dominante se non esclusivo di tutte le narrazioni produttiviste e neo-malthusiane: il cibo non sarà mai abbastanza a riempire le bocche e a sanare le ansie, per quanto esso risulti largamente indirizzato a sfamare sistemi zootecnici industriali e i cestini della spazzatura, se non i serbatoi delle automobili. Buono però per mettere il biologico in fuorigioco, sulla base del suo deficit produttivo, addirittura stimato al 50% dallo stesso Ceo Syngenta, laddove lo scarto di rese viene più rigorosamente ricondotto al 10-20% dipendendo dalle colture e dai sistemi colturali, ma potendo anche essere azzerato in sistemi agroecologici ben integrati o da una metrica di calcolo che guardi alla performance di sistema in una logica di prodotti primari, secondari e di servizio, come abbiamo verificato ad esempio nel quadro del progetto europeo di ricerca DiverIMPACTS sulla diversificazione colturale.

L’enfasi sulla disponibilità mette poi in ombra il tema dell’accesso, ovvero le condizioni socio-economiche e reddituali che condizionano l’approvvigionamento del cibo, incluso l’autoapprovvigionamento da parte di quei contadini che rappresentano la quota paradossalmente più alta di affamati nel mondo. La terza dimensione è quella della stabilità, minacciata negli ultimi decenni dall’erosione delle risorse naturali e dalla compromissione ambientale e climatica, su cui il biologico esercita invece un ruolo rigenerativo puntando sulla vitalità del suolo. L’uso degli alimenti, la loro sanità e adeguatezza financo culturale completano il quadro e il biologico in questo si distingue per la vocazione a generare risorsa cibo piuttosto che una biomassa indifferenziata prona a qualsiasi uso.

A queste quattro dimensioni della sicurezza alimentare si tende di recente ad aggiungerne una quinta: il controllo, che forse chiarisce i termini della contesa e il senso di una sparata sul biologico, non a salve.

* Firab