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Linklater porta a Berlino le vite oltre lo schemo

Linklater porta a Berlino le vite oltre lo schemo

Festival In concorso «Boyhood» passato al Sundance, girato in 39 giorni distribuiti nell'arco di 12 anni

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 14 febbraio 2014

Lui si chiama Mason, ha una sorella, Sam di poco più grande, la mamma che «tira avanti» da sola perché il papà, Mason senior, simpatico e teneramente «senza testa» se ne è andato in Alaska. Sogna di fare il musicista, e lavora quando può, ma dice ai figli dopo una partita di bowling, tua madre è davvero pesante, e quando siete nati avevamo 23 anni… Boyhood è arrivato in concorso verso la fine alla Berlinale dopo il Sundance (ne ha scritto su queste pagine Giulia D’Agnolo Vallan), e si è subito posizionato come il film più denso di una competizione non proprio fortissima –ma non è questo il punto, il film è un capolavoro al di là della concorrenza – insieme alla Vita di Riley di Alain Resnais (comperato per l’Italia da Teodora film).

Entrambi intanto sono film che (si) pongono degli interrogativi, opere che esprimono una poetica e una ricerca intorno al fare-cinema, sui suoi strumenti e sulle sue categorie. Boyhood, che Linklater ha girato nell’arco di una decina di anni, dal 2002, in più riprese, mentre la storia di questa famiglia «traslocava» come loro da una città all’altra, e in una diversa dimensione temporale, e i suoi protagonisti, gli «attori» crescevano e cambiavano, è strettamente intrecciato al lavoro fatto sulla trilogia di Prima dell’alba, Prima del tramonto e Prima di mezzanotte. E non solo perché vi ritroviamo Ethan Hawke, nel ruolo del padre di Mason, ma perché qui come lì al centro del racconto, e dell’esperienza filmica, c’è l’idea (e la scommessa) di riprendere la vita, e i suoi passaggi, anche nella sua banalità, nelle sue variazioni più ordinarie, cercando ad essa una corrispondenza cinematografica. Che è fatta di parole, di corpi che cambiano, di sentimenti impalpabili. E di amarezze e gioie, traumi e sorprese che sono belle e brutte come capita. «Non c’è una regola si deve improvvisare» dice il padre a Mason in una delle loro escursioni nel bosco.

Intanto in questa improvvisazione il tempo passa, Sam (Lorelei Linklater) e Mason (Ellar Coltrane), che conosciamo appunto ragazzini a scuola crescono, lasciano la casa e vanno al college; la madre (Patricia Arquette) convola a nuove nozze, ma il matrimonio sarà una catastrofe, e continuerà dopo un drammatico nuovo divorzio a innamorarsi di uomini pessimi; il padre si risposa e ha un altro bimbo e dalla macchina d’epoca sportiva passa alla station wagon. Segno dei tempi che cambiano anch’esso. I ragazzi cominciano la loro vita, scoprono amori, sesso, protesta, la voglia di andarsene di casa, gli scontri sempre più frequenti coi genitori. Mason inizia a fotografare, la madre continua i suoi studi, Sam ha i primi fidanzati … E la storia di questa famiglia si porta con sé anche un po’ d’America. L’Iraq, con Ethan Hawke che chiede ai figli: «Voi non ci credete vero che la guerra si fa per le Torri gemelle?», e la campagna per Obama di Mason e suo padre nella terra texana di Bush. L’America con passione per i fucili e la caccia, siamo pur sempre in Texas, e quella ultra religiosa dei genitori della nuova compagna di Mason sr. che a Mason per i 15 anni regalano una bibbia. L’America dei college e delle strade in macchina, della gente che si sposta sempre un po’…

Ma la scommessa più alta, che poi è la poetica di questo regista, è appunto rendere in narrazione la vita. Linklater lo fa con dolcezza, provando a seguirne il ritmo, gli sbalzi e senza retorica né sentimentalismi. Commuove, fa ridere, accompagna amorevolmente i suoi personaggi con libertà di racconto e di regia in un film che sperimenta il tempo nel cinema e fuori, a cominciare dalla metamorfosi degli attori. Una ricerca che gli appartiene dal lungometraggio d’esordio, Slacker, insieme a quella ostinata caccia della realtà tra le inquadrature. le parole dei lunghi dialoghi , il rifiuto di ingabbiare convenzionalmente le sue storie entro i confini dello schermo, di un genere, della dicotomia documentario/fiction.

A volte «cita» i suoi altri film (la passeggiata amorosa di Mason e della sua ragazza Sheena fino all’alba nelle strade di Austin) quasi a indicarci il movimento interno, con infinite variazioni, di un autore, e di un progetto di cinema improvvisato (Linklater ha girato in 35 millimetri) con millimetrica consapevolezza. Un po’ come Mason che preferisce la fotografia in pellicola, ma come gli dice il professore, devi capire dove vuoi andare. Linklater a ogni film ci dimostra di saperlo. Senza rinunciare però alla sorpresa.

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