Visioni

«Lievito», nel fermento della formazione partenopea

«Lievito», nel fermento della formazione partenopeaUna scena da «Lievito» di cyop&kaf

Intervista cyop&kaf raccontano il loro film sulle realtà di educazione informale tra presente e passato. Le esperienze resistenti, la rigidità della scuola, il rapporto con le arti. Appuntamento martedì 9 maggio con la proiezione al Cinema Farnese di Roma

Pubblicato più di un anno faEdizione del 7 maggio 2023
Una scena del film

Peppe Carini, sigaretta in bocca e lunghi baffi grigi, mostra bellissime riprese in pellicola. Risalgono agli anni ’70, quando lui, la sua compagna Cinzia Mastrodomenico, la sorella Lucia e Geppino Fiorenza diedero vita a una delle esperienze più interessanti di pratica pedagogica informale, rimasta nella storia di Napoli: la Mensa dei Bambini Proletari in vico Cappuccinelle a Montesanto, zona popolare e complicata nel centro antico della città, dove si affacciarono personaggi come Fabrizia Ramondino, Goffredo Fofi, Elsa Morante. Oltre al cibo, i «maestri» provvedevano alla scuola. Il passato si lega al presente, in una Napoli che ha ancora tassi altissimi di dispersione scolastica, con realtà preziose e resistenti come quella del teatrino delle guarattelle di Bruno Leone, il laboratorio permanente Arrevuoto, il Carnevale Sociale, una palestra di judo, le colonie estive per giovani scugnizzi. Lievito, secondo lungometraggio di cyop&kaf, scritto da Luca Rossomando, parla ancora di adolescenza, questa volta a partire dalle figure dei maestri. In occasione della presentazione martedì 9 al cinema Farnese di Roma ne abbiamo parlato con i registi.

Com’è nato il film?

Nei giri di presentazioni de Il Segreto si parlava sempre di ragazzi. Era palese che si trattava di un film che racconta in negativo il mondo degli adulti. È una narrazione per assenza: o non ci sono proprio o compaiono sotto forma di elemento di «repressione». Così ci siamo detti: raccontiamo anche gli adulti, e il rapporto con maestri particolarmente significativi per come li immaginiamo noi.

A Napoli ci sono molte realtà che si occupano di educazione. Quali avete scelto di raccontare e perché?

Abbiamo seguito varie situazioni più vicine a noi per storia, amicizia, contesti in cui stiamo «un po’ dentro e un po’ fuori», a cominciare dal laboratorio teatrale Arrevuoto di cui abbiamo fatto le scene. Il Carnevale sociale cittadino che portiamo avanti da tempo. L’associazione di judo Kodocan che lavora nell’Albergo dei Poveri da quarant’anni, forse l’unica cosa che succede lì dentro, nonostante i progetti di cui si parla tanto; la colonia estiva dell’associazione Casa di Vetro di Forcella. Le figure di Bruno Leone e Peppe Carini rappresentano il tramandare. L’eredità della Mensa dei bambini proletari si è trasferita nell’esperienza del centro DAMM Diego Armando Maradona Montesanto dove anni fa abbiamo iniziato il Carnevale Sociale e dove Luca Rossomando ha militato per anni.

L’esperienza del «maestro» o educatore, quindi, è qualcosa che si tramanda? Che ruolo ha la scuola in tutto questo?

Il titolo fa riferimento alla pasta madre: conservare un pezzo e portarlo avanti negli anni. Per quanto si tratti di minoranze, per fortuna a Napoli questa storia continua. La gran parte delle esperienze con i ragazzi al momento è molto irregimentata nel privato sociale, nella rendicontazione, nei bandi: queste cose fanno perdere molto alla relazione educativa. Abbiamo filmato anche altre cose che non hanno «lievitato». Un pezzo che manca infatti è la scuola: è rimasta fuori per scelta. Avevamo anche provato a filmare alcune realtà, ma si tratta di un contesto molto burocratizzato che gli allievi vivono come un campo di battaglia, alla fine non succedono mai cose degne di nota. Certo può capitare un insegnante bravo che ti cambia la vita ma è tutto basato sul caso, non è strutturato. La scuola dovrebbe organizzare sistematicamente questa trasformazione.

Voi raccontate Napoli. Durante le presentazioni in giro per l’Italia, avete trovato similitudini con altre città?

Abbiamo fatto molte proiezioni con gruppi di educatori di cooperative che lavorano nell’ambito dell’intervento sull’adolescenza. Con loro il confronto stato molto interessante. Milano ad esempio può sembrare una realtà lontana da Napoli, gli adolescenti sono diversi ma i problemi sono gli stessi.

Anche questo secondo lavoro ha al centro l’adolescenza. Perché? Come collettivo cyop&kaf e Napoli Monitor, come vi muovete tra pittura, video arte, scrittura?

L’educazione è un tema a noi molto vicino. Da sempre lavoriamo con i ragazzi. Quando dipingiamo in strada capita quasi sempre di stare insieme a loro. Si parte con un’idea, dopo le riprese ricavi sempre altro. Non abbiamo una pratica artistica precisa. Non ci interessa. Ci sono delle cose da trasformare in qualche forma: un acquerello, una scultura, dei testi, un’inchiesta giornalistica, un film. L’importante è dare un filtro a queste cose cadono addosso, bisogna elaborarle.

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