Lidi, voltafaccia del governo: a settembre via libera ai bandi
Balneari Due ore di serrata, a partire dalle 7.30, ma la situazione non cambia. E i correttivi della destra non funzionano: la proroga al 2030 dove le spiagge sono occupate per meno del 25% è vietata dall’Ue
Balneari Due ore di serrata, a partire dalle 7.30, ma la situazione non cambia. E i correttivi della destra non funzionano: la proroga al 2030 dove le spiagge sono occupate per meno del 25% è vietata dall’Ue
Si narra di una Giorgia Meloni inviperita, nel resort a 5 stelle dove sta trascorrendo le vacanze in Puglia. Dopo averle creduto, i balneari ora le sono quasi tutti contro. Secondo Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, gli organizzatori della serrata di ieri, l’80% dei concessionari ha aderito all’iniziativa che contestava l’inerzia del governo. D’altronde il sacrificio era minimo, tenere chiusi gli ombrelloni fino alle 9.30. Sta di fatto che, mentre prima la categoria andava d’amore e d’accordo col centrodestra, ora la rottura è evidente.
IL VOLTAFACCIA DI FDI è clamoroso, ma il testo a cui sta lavorando lo è ancora di più. L’idea è di intervenire a fine agosto nel dl Salva infrazioni. In campagna elettorale Meloni si impegnava a salvare i balneari dalle gare, mentre oggi ha sul tavolo una bozza che disciplina i bandi. Ma con le concessioni scadute per la legge Concorrenza di Draghi, il diritto Ue non prevede altra strada. La premier ha avuto la faccia tosta di promettere l’impossibile e ora si trova nell’imbarazzante situazione di doverci mettere una pezza, senza andare contro Bruxelles. Una missione difficile, soprattutto se è in mano a Raffaele Fitto.
IL MINISTRO agli Affari europei ha un vecchio conto in sospeso coi balneari: quando nel 2009 firmò il primo ddl per introdurre i bandi delle concessioni, ricevette lanci di monetine dagli operatori contrari. Erano i tempi dell’ultimo governo Berlusconi, quando iniziò la lunga serie di proroghe. Difficile credere che oggi l’ultraeuropeista Fitto sia disposto a puntare i piedi contro l’Ue. Rispetto ad allora, a pretendere di tenere le concessioni per sempre sono rimasti in pochi. La maggioranza delle associazioni balneari si è dichiarata pronta ad affrontare i bandi, ma chiede gli indennizzi economici per i titolari uscenti.
LA LEGGE ATTUALE non li contempla; anzi il Codice della navigazione impone che al termine della concessione, il gestore restituisca l’area come l’ha avuta decenni fa, ovvero con la sola sabbia. In alternativa, lo stato può diventare proprietario delle strutture a titolo gratuito. La legge Draghi ha introdotto gli indennizzi solo in linea di principio e l’attuale governo deve stabilire i criteri di calcolo. Se non lo ha ancora fatto, è perché ciò significa accettare per implicito i bandi e dunque ammettere di non avere mantenuto le promesse. Ma ora per Meloni è l’unico modo per accontentare almeno in parte i balneari.
LE DIFFICOLTÀ sono però molteplici. Il valore di uno stabilimento è un calcolo complesso e non si sa se dovrà farlo un perito indipendente o nominato dal concessionario. Inoltre, la direttiva Bolkestein proibisce qualsiasi preferenza agli attuali gestori, come potrebbero essere gli indennizzi. Ma c’è di peggio: questo meccanismo di fatto ammetterebbe l’accesso ai bandi solo ai balneari storici o ai grandi capitali. Nelle aree di maggiore pregio turistico il valore di uno stabilimento può superare i 2 milioni e ciò taglierebbe fuori la piccola imprenditoria locale che vuole entrare nel settore. Ma a Meloni non sembra interessare; anzi, fosse per lei, metterebbe tutte le coste italiane in concessione. Con la sua mappatura di ottobre, voleva far credere all’Ue che solo il 33% dei litorali è occupato e che fosse possibile garantire la concorrenza facendo aprire nuove imprese sulle aree libere, senza toccare quelle esistenti.
LA TESI È STATA RESPINTA al mittente, con tanto di procedura di infrazione. Secondo Bruxelles, la disponibilità della risorsa va calcolata con parametri qualitativi, cioè distinguendo le coste sature da quelle libere. Il governo ci starebbe provando, ma anche in questo fa acqua da tutte le parti. Palazzo Chigi vorrebbe approvare una proroga al 2030 solo nelle regioni in cui le spiagge sono occupate per meno del 25%, ma sarebbe comunque un rinnovo automatico, proibito dal diritto europeo. Il Consiglio di Stato, che ha già cancellato la proroga al 2033 del primo governo Conte, annullerebbe la norma nel giro di pochi giorni.
SECONDO UNIONCAMERE gli stabilimenti balneari nel 2023 erano 7.244, con un aumento di quasi 1.500 unità in 13 anni. La spiaggia è una risorsa sempre più scarsa e anziché sfruttarla, sarebbe meglio preservarla. Chissà che Meloni non ci mediti sopra dal suo resort.
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