Liberazione tesa, ma Telemeloni si censura da sola
Il caso A Roma Pacifici aggredisce in diretta una giornalista di Raitre e la conduttrice gli dà ragione: «Dobiamo stare attenti alle parole»
Il caso A Roma Pacifici aggredisce in diretta una giornalista di Raitre e la conduttrice gli dà ragione: «Dobiamo stare attenti alle parole»
A guardare la clip, andata in diretta sulla sempre più sciagurata Raitre e poi riverberata in lungo e in largo sui social, c’è da rimanere attoniti. Il programma Re Start, per la festa della Liberazione, aveva mandato una sua giornalista, Ylenia Buonviso, a seguire la manifestazione di Porta San Paolo. Lì, in mattinata, si è registrata qualche tensione tra il blocco della Brigata Ebraica e i giovani filopalestinesi, separati da un imponente cordone di polizia in assetto antisommossa. Le cronache parlano dei primi che si sono esibiti, a favore di telecamere, con lanci di oggetti (tra cui barattoli alimentari), petardi e grida impressionanti («Vi devono stuprare come le donne ebree del 7 ottobre!», rivolto alle ragazze filopalestinesi). E Buonviso questo stava provando a raccontare nel suo collegamento: «C’è stata una carica della Brigata ebraica», aveva cominciato a dire prima di essere interrotta dal noto Riccardo Pacifici, attuale vicepresidente della European Jewish Association ed ex presidente della Comunità ebraica romana dal 2008 al 2015, che urlando e spingendo è entrato nella diretta e ha affermato: «non c’è stata nessuna carica». Da lì è nato un parapiglia che ha coinvolto anche l’operatore di Raitre.
DALLO STUDIO, intanto, la conduttrice Annalisa Bruchi, che non poteva sapere cosa stesse accadendo in piazza, invece di difendere la sua inviata, incredibilmente, si è esibita in una colossale forma di autocensura, all’apparenza per nulla preoccupata dell’incolumità di Buonviso. «Non c’è stata nessuna carica – ha detto Bruchi -, dobbiamo stare un po’ attenti alle parole». Quando Pacifici è rientrato nei ranghi, una visibilmente spaventata Buonviso a quel punto ha cambiato idea su quanto successo: «Non c’è stata alcuna carica! Non c’è stata alcuna carica», ripeteva agitata. Le immagini delle tensioni, non mandate in onda dalla Rai ma circolate lo stesso più o meno ovunque, mostrano il blocco della Brigata Ebraica porsi in maniera assai aggressiva, arrivando anche a contatto con gli agenti. Mentre dall’altra parte i filopalestinesi si limitavano a cantare «Bella ciao».
A MILANO ci ha dovuto pensare la questura a chiarire i fatti avvenuti in piazza del Duomo. Un 19enne di origine egiziana è stato arrestato ieri per aver colpito con un bastone un addetto alla sicurezza della Brigata Ebraica durante il corteo del 25 aprile. Altri nove, tutti nordafricani, sono stati denunciati per istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa. La polizia, in ogni caso, precisa che i dieci erano «slegati dalla manifestazione pro Palestina». Si trovavano davanti al McDonald’s di piazza del Duomo e da lì si sono scagliati contro i manifestanti. Diversa la questione dei Giovani palestinesi in piazza dall’ora di pranzo, che poi hanno provato a raggiungere il palco, senza riuscirci per effetto della celere piazzata davanti alle transenne. Momenti di tensione, certo, ma per nulla diversi da quelli di porta San Paolo a Roma: la differenza sta tutta nel come sono stati raccontati i due episodi. E forse pure nel fatto che, ormai, quelle che fino a non troppo tempo fa si definivano «tensioni» adesso vengono chiamate «violenze» o peggio. Eppure ci sarebbe un insospettabile come il ministro degli Interni Matteo Piantedosi a confermare che, nella maniera più assoluta, quello appena trascorso non è stato un 25 aprile segnato da violenze. Lo ha detto così: «Va espresso un grato riconoscimento per la grande professionalità degli operatori delle forze di polizia che in una giornata così impegnativa e importante hanno garantito in tutta Italia un regolare svolgimento delle celebrazioni della festa della Liberazione». Sembrerebbero parole chiare, ma le varie manifestazioni sono state per lo più raccontate come episodi di guerriglia urbana, come a suggerire che il 25 aprile sia più un problema di ordine pubblico che una giornata importante della vita civile del paese.
LA LINEA la chiarisce l’ineffabile deputato di FdI Fabio Rampelli. Che coglie l’occasione di un manifesto elettorale di Giorgia Meloni appeso al contrario non si sa bene dove per descrivere come dalle parti della maggioranza si vede il mondo: «Le violenze all’università, nelle città, perfino il 25 aprile e ora i manifesti di Meloni incendiati o a testa in giù. Nel combattere fascisti immaginari non si accorgono di essere loro i veri fascisti. Intolleranti, antidemocratici, violenti, ipocriti». Come spesso accade, però, è vero il contrario.
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