C’era una volta Hollywood secondo Ti West. Arrivato nelle sale Usa (in Italia il 21 agosto) MaXXXine è il terzo capitolo della trilogia del regista di Wilmington dopo X: A Sexy Horror Story (2022) e Pearl (2022). Cresciuto al cuore del cinema indipendente newyorkese – Kelly Reichardt era una delle sue insegnanti, Larry Fessenden uno dei suoi idoli, Martin Scorsese uno dei suoi ammiratori degli inizi – West tradizionalmente «indossa» la sua cinefilia in modo più discreto, idiosincratico, di Quentin Tarantino. Ma la trilogia, specialmente con la magnifica impennata sirkiana di Pearl, lo ha portato più allo scoperto.

NON È UN CASO che MaXXXine (che ha un budget più alto di quello combinato dei due film precedenti) sia il suo primo lavoro ambientato a Los Angeles, dove in realtà vive da molti anni. Lo sfondo non è solo la città, ma Hollywood stessa – i meandri tra i teatri di posa degli studios, sul profilo delle colline ai bordi della San Fernando Valley, e le storie di successo e disperazione che si consumano nei loro cavernosi interni. Mentre X era un omaggio alla grana grossa della sexploitation anni settanta (Non aprite quella porta style), e Pearl una ripresa lisergica del fiammeggiante melodramma dei Fifties, MaXXXine è lo slasher anni ottanta – preciso, spietato e grondante di sangue.

PRECISA e spietata è anche la sua eroina, Maxine/Pearl (già conosciuta in chiave decrepita e ragazzina, in X e Pearl) interpretata dalla musa della trilogia, e coautrice della sceneggiatura di Pearl, Mia Goth. Una delle tesi non sottese del film infatti è che per farcela a Hollywood una donna può solo essere precisa e spietata, come Maxine o Liz Bender (Elizabeth Debicki) l’inflessibile regista inglese che – tra le tante ragazze in fila per il provino – vede in lei sia il talento che la ferrea voglia di arrivare.

In realtà, all’inizio del film, nel 1985, Maxine Mink è già «arrivata» – è una nota star del cinema a luci rosse (siamo nell’era home video; in X erano gli anni della 42esima strada), sfreccia per Los Angeles a bordo di una decappottabile con targa personalizzata, ondeggiante su tacchi a spillo che, quando necessario, usa con mortale creatività. Nonostante la fama, Maxine è ancora costretta a integrare le sue entrate apparendo nei peep show. Anche per quello è molto decisa a fare uno scarto di carriera – che per una porno star non è Spielberg, ma il cinema horror.

L’horror la insidia anche nelle strade, sotto le spoglie di un serial killer, soprannominato The Night Stalker, che potrebbe averla avvistata in un peep show.

Insieme al serial killer (nel film, ispirato dalla cronaca losangelina del tempo, come nel romanzo di Bret Easton Ellis, Le schegge) e all’impeccabile mix di costumi e set design, la ricostruzione d’epoca di MaXXXine include anche la fervida crociata evangelica contro la «decadenza dei costumi» nella cultura pop, esemplificata, tra gli altri, dalla battaglia personale che Tipper Gore portò avanti contro il rap. E questo scontro tra le forze oppressivo/oscurantiste della religione e quelle «libertine» dell’eros e dell’arte è un altro dei temi importanti e non sottesi con cui gioca Ti West. Un tema che odora molto di presente.

NELL’IRONIA sublime di West, che Goth incarna con l’aplomb spettacolare dell’unica vera erede di Jamie Lee Curtis, per potersi concentrare sulla sua carriera, Maxine deve prima «liberarsi» del serial killer. Psycho contro psycho (il film ha persino una scena ambientata, alla Universal, sul set ricostruito dello slasher hitchcockiano). Solo che lei ha una marcia in più.

Il finale di un paradosso così non può che consumarsi all’ombra dell’insegna di Hollywood… West rende omaggio al cinema degli anni ottanta con citazioni, tra gli altri, di Omicidio a luci rosse di De Palma e di Je vous salue, Marie di Godard . Ma poi si permette di spaziare da Buster Keaton alla «vamp» Theda Bara, a L’uccello dalle piume di cristallo e a St. Elmo’s Fires.