Lettura ravvicinata di una generazione di poeti
Critica letteraria A partire dai testi, Massimo Natale (italianista e firma di «Alias») bracca sette poeti nati negli anni cinquanta: De Angelis, Magrelli, Valduga, Villalta, Pusterla, Anedda, Fo. Corpo a corpo, Quodlibet
Critica letteraria A partire dai testi, Massimo Natale (italianista e firma di «Alias») bracca sette poeti nati negli anni cinquanta: De Angelis, Magrelli, Valduga, Villalta, Pusterla, Anedda, Fo. Corpo a corpo, Quodlibet
Che il buon Dio si nasconda – e si riveli – nei dettagli è una formula che un critico dello stile è destinato a ripetersi, come un ritornello, all’inizio di ogni giornata di lavoro. I particolari che rinviano al tutto e il tutto che trova dimora nei particolari è stata in effetti l’ossessione di una lunga e autorevole schiera di studiosi che hanno attraversato il Novecento e che a quanto pare, come dimostrail nuovo libro di Massimo Natale, continuano tenacemente a credere nel corpo a corpo con la poesia. In tempi trionfali per gli Studies e la Theory, in cui il testo letterario rischia di sfilarsi dallo scrittoio del critico spodestato da volumi di altra natura, questa cocciuta volontà di prendersi cura del testo, di assumersi il rischio di una lettura ravvicinata, un rischio che implica passione e lavoro, è rassicurante e un po’ anche commovente perché si riallaccia a una delle tradizioni critiche più autorevoli che il ventesimo secolo ci ha lasciato in eredità e che parrebbe per vari aspetti dimenticata.
In questo Corpo a corpo Sulla poesia contemporanea: sette letture (Quodlibet «Studio. Lettere», pp. 224, euro 20,00) Massimo Natale affronta dunque una serie di autori che si collocano indiscutibilmente al centro del canone poetico del secondo Novecento: Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Patrizia Valduga, Gian Mario Villalta, Fabio Pusterla, Antonella Anedda, Alessandro Fo. L’introduzione, qui Quasi un’introduzione, è – per statuto, del resto – il luogo in cui si dà conto della struttura del libro, della sua coerenza innanzitutto, legata sia alla scelta di poeti che condividono il medesimo orizzonte cronologico, cioè anche culturale (tutti i poeti sono nati negli anni cinquanta), sia alla data, vicinissima a noi, dei testi presi in lettura, ossia gli anni duemila. Ma insieme si discute anche della varietà del libro, dal momento che i poeti scelti rappresentano posizioni o idee per non dire poetiche anche molto diverse tra loro. Questa zona liminare, però, si caratterizza soprattutto per essere il racconto a posteriori di un’esperienza o di una serie di esperienze di lavoro sulle quali Natale ritorna mettendole in prospettiva, ricavandone, e segnalandola al lettore, una prassi di lettura che si delinea come un percorso, anche avventuroso, che cerca con insistenza di mettere in relazione l’affondo verticale e lo sguardo d’insieme, insomma il piccolo e il grande (ah, ecco, il buon Dio). Ne esce un approccio critico il più possibile inclusivo (dalla singola poesia agli altri testi e agli altri scritti anche non letterari dell’autore, in un dialogo continuo tra dentro e fuori il testo in esame) che mette in primo luogo in discussione il critico-lettore, la sua sensibilità e cultura, la sua capacità di interrogare il testo e di riceverne risposte che sollecitano altre domande, e così via.
A dirla tutta però c’è un altro aspetto di questo libro intenso, sostenuto da una scrittura partecipe, elegante e precisa, che va sottolineato. Gli autori nati a metà del secolo scorso e i testi scritti o pubblicati negli anni Duemila possono dare un’idea di presente che basta a sé stesso. E invece quei testi, e se ne ha notizia fin dai titoli dei singoli contributi, sono letti attraverso un filtro critico che porta a galla il dialogo fitto, imprescindibile, con la tradizione («E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?» ricorda con Zanzotto l’autore): la tradizione classica naturalmente (Tacito e Sofocle per Anedda e Fo) ma anche quella moderna (Baudelaire per Magrelli, Rilke per Pusterla) o più recente (Da Ponte, Dreyer e Raboni per Valduga, Celan per Villalta) o addirittura appartenente ad altre latitudini culturali (è il caso de l’I Ching per De Angelis).
E qui si coglie un altro senso di quel corpo a corpo promosso a titolo complessivo, che si declina come rapporto tra testo e testo, o tra autore e autore, tradizione e tradizione. La vitalità dell’approccio è ben testimoniata dal fatto che questi riferimenti non sono mai passivi, ossia non puntano a documentare l’intelligenza e la cultura del critico ma sono messi a servizio dell’interpretazione della poesia, la cui funzione, alla fine, risulta esemplificativa di una prassi autoriale, e insieme di una serie di modalità di recupero della tradizione stessa, dalla ripresa letterale alla riscrittura, dall’esibizione al nascondimento al depistaggio.
Il testo preso in esame è dunque un pretesto per un discorso che giunge a tracciare un profilo, breve ma penetrante e soprattutto convincente, dell’autore del testo in esame. La singola lettura, tuttavia, mettendo in gioco l’interprete stesso, non può mai chiudere il discorso su quel particolare testo (o sul suo autore); si affianca e somma alle letture che sono già state fatte e a quelle che verranno. Perché se «ciò che si deve comprendere è già in parte compreso» (Gadamer) è pur vero che il circolo ermeneutico per definizione non è destinato a chiudersi.
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