Letizia Battaglia, un’appassionata esistenza in nome della lotta e della giustizia
MOSTRE Una retrospettiva a Genova fino al primo novembre, con oltre cento fotografie
MOSTRE Una retrospettiva a Genova fino al primo novembre, con oltre cento fotografie
Chi è Letizia Battaglia è già scritto nel suo nome. Lei era proprio così, lieta e serena, malgrado una vita intera passata a conquistarsi con il sudore il giusto riconoscimento del suo lavoro. I suoi paesaggi, la gente comune, i bambini e le bambine della sua terra desolata cosa esprimono se non letizia? Ma insieme a quella follia gioiosa c’è stata la lotta per farsi accettare e affermarsi nel suo lavoro. E poi l’impegno civile e politico, che ha messo a rischio persino la sua vita. Dunque, ha vissuto sempre in «battaglia».
Con oltre cento fotografie e alcune interviste, la retrospettiva Letizia Battaglia sono io, nelle sale del Sottoporticato di Palazzo Ducale di Genova (con l’organizzazione di Civita Mostre e Musei, in collaborazione con l’archivio della fotografa, la Fondazione Falcone per le arti e quella di Palazzo Ducale per la cultura), ripercorre il suo cammino professionale e civile, un’autrice che ha saputo raccontare Palermo e la lotta alla mafia con uno sguardo tragico, persino epico, talvolta, senza mai perdere la naturalezza di un’umanità colta nella sua autentica esistenza.
NATA A PALERMO, Battaglia è stata tra le prime donne fotoreporter italiane. Dal 1974 al 1991 ha lavorato per L’Ora di Palermo e fondato con Franco Zecchin l’agenzia d’Informazione fotografica. Leoluca Orlando la scelse per fare l’assessora nella giunta della «Primavera di Palermo» e successivamente è stata eletta nell’assemblea regionale siciliana. È stata tra i fondatrici del centro siciliano di documentazione «Peppino Impastato» e la prima donna a ricevere nel 1985, a New York, il premio W. E. Smith Grant per la fotografia sociale. Nel 2017, lo stesso New York Times l’ha indicata tra le undici donne più rappresentative dell’anno.
Come ha dichiarato Paolo Falcone, curatore della mostra (visitabile fino al 1 novembre, catalogo con testi anche di Roberto Andò e Giosuè Calaciura, Contrasto edizioni) Battaglia non avrebbe mai usato l’espressione «sono io», ma questa volta il «ritorno a sé» rende bene lo sforzo di raccontarla per mezzo delle sue fotografie.
IMMAGINI mai «rubate o edulcoranti» né retoriche ma «palpitanti e secche». Sono «fugaci» e proprio per questo riescono a fissare il senso più intimo di ciò che sta accadendo, in bilico tra la dolcezza della visione e la durezza della realtà.
Articolata in quattro sezioni, la rassegna espone scatti di grande formato, sia in bianco e nero che a colori, corredati da documenti video, pezzi della sua produzione editoriale e materiali inediti. Viene così ricostruito un viaggio polifonico che sconfina dal lavoro di fotografa, restituendoci la figura di una intellettuale e di una militante che non ha raccontato solo la Palermo assediata dalla mafia. Battaglia ha passeggiato nei rioni, è entrata nei vicoli, si è mischiata nella calca delle cerimonie religiose e delle feste popolari.
LA SUA OPERA e la sua testimonianza hanno una grande importanza per la nostra storia. Soprattutto oggi che sembra tutto dimenticato. Le sue foto ci ricordano cosa è accaduto e ci sollecitano a non abbassare la guardia. Quanto a Letizia Battaglia, come lei stessa ha raccontato, le sue foto preferite sono i ritratti delle bambine. «Il sogno delle bambine mi emoziona. Ho cercato di coglierlo».
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