La scomparsa di Peter Brook è l’occasione per ricordare da un lato il suo teatro rischioso, pacifista, anticoloniale e dall’altro osservare come questo sembra inscindibile da un luogo fisico, il Théâtre des Bouffes du Nord che, a partire dagli anni Settanta, è divenuto un punto di riferimento sulla mappa dell’avanguardia parigina. Les Bouffes du Nord è il laboratorio di numerose creazioni di Peter Brook che hanno fatto la storia del teatro del XX e XXI secolo. Tra queste Mahabharata (1985), poema sanscrito riscritto da Jean-Claude Carrière e rappresentato per tutta la notte dall’alba al tramonto; La Conferenza degli uccelli, dal poeta persiano Farid Al-Din Attar; Il Giardino dei ciliegi con Michel Piccoli e più recentemente Un flauto magico e Warum Warum, nel quale combina insieme testi dei suoi teorici preferiti: Antonin Artaud, Vsevolod Mejerchol’d e Gordon Craig.
Peter Brook ha furiosamente lottato per liberare il teatro dalle convenzioni del modello scenografico classico, opponendo alle scenografie la sua famosa teoria dello spazio vuoto. Ne Lo Spazio vuoto, il suo libro teorico più famoso, scrive: «Posso prendere qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo un palcoscenico nudo. Un uomo attraversa questo spazio vuoto mentre qualcun altro lo osserva, e questo è tutto ciò che serve per impegnarsi in un atto teatrale».

RIDEFINIRE il teatro vuol dire scompigliarne la funzione. Brook ha colto le straordinarie possibilità che si aprono su entrambi i lati del palcoscenico nel momento in cui si concepisce il teatro come movimento fisico, come elemento alchemico, come pratica spirituale. Tutto questo parte da ciò che c’è di più classico: da Shakespeare, rivisitato nella sua prima messa in scena di Love’s Labor Lost e il suo bellissimo, bianco e sospeso nell’aria Sogno di una notte di mezza estate (1970) all’RSC. Brook ha reinventato varie tradizioni d’avanguardia, mettendo in scena King Lear come fosse un testo di Samuel Beckett. Nel 2000, rivisita Amleto con Adrien Lester, attore britannico di origine giamaicana. In termini di arredamento, non ha bisogno di altro che di un piccolo tappeto rosso e del magico spazio vuoto delle Bouffes du Nord.
Ma come è nato Les Bouffes du Nord? È interessante menzionare la vicinanza di Peter Brook con due figure leggendarie: il mimo e teorico del movimento Jacques Lecoq, nella cui scuola parigina Peter Brook era spesso ospite, e il mistico russo e avventuriero di origine georgiana Georges Gourdjieff, a cui Brook ha dedica il documentario del 1979 Incontri con uomini straordinari. Nel 1971, insieme al produttore Michelin Rozin, Peter Brook fonda il suo Centro internazionale di ricerca teatrale parigino (CIRT), incentrato sulle tradizioni teatrali e pratiche spirituali non europee.

PER TRE ANNI viaggia con la sua compagnia nel Medio Oriente, nell’Africa del nord e in America Latina. Si esibiscono tra le antiche rovine del palazzo di Persopolis in Iran, nel deserto del Sahara e nelle piazze dei villaggi in Mali e Nigeria. Questi sono i luoghi in cui Brook porta il teatro. Altri sono gli alloggi degli immigrati nelle banlieues parigine, le strade del Bronx, le fabbriche e gli ospedali psichiatrici, i garage abbandonati e i cinema in rovina.
L’apertura nel 1974 del Théâtre des Bouffes du Nord è il risultato di questa lunga ricerca e pratica artistica. Ma è anche in parte pura casualità. Il luogo è un teatro di music-hall abbandonato, parzialmente in rovina, situato a pochi minuti dal centro di Parigi ma in un quartiere molto eterogeneo come La Chapelle, non lontano dalla Gare du Nord. Per aprirlo, Brook può contare sul sostegno dall’allora direttore del Festival d’Automne Michel Guy. Una delle decisioni cruciali di Brook è quella di preservare il fascino del vecchio teatro, con la sua pesante struttura in ghisa e le pareti rosso pompeiano.

NON SI TRATTA di creare un’altra piramide ultramoderna nel cuore di un quartiere popolare, ma al contrario di connettere un luogo e la sua storia alla spiritualità del quartiere in cui è nato. Dopo soli tre mesi di lavoro, questo spazio camaleontico sembrava da un lato l’ingresso di una moschea e dall’altro un coro elisabettiano. Con Les Bouffes du Nord, il teatro diventa il proprio arredo scenico.