Legge elettorale, il grande freno renziano
La camera tiene la riforma nel calendario di settembre, ma non c'è né un testo né un accordo. Il segretario Pd punta a conservare i due sistemi ritagliati dalla Corte costituzionale (che non potrà intervenire di nuovo prima del voto). Nel frattempo nel partito si salda l'intesa tra Franceschini e Orlando per introdurre il premio di coalizione. In attesa di un rovescio del leader in Sicilia, che nel caso arriverà troppo tardi
La camera tiene la riforma nel calendario di settembre, ma non c'è né un testo né un accordo. Il segretario Pd punta a conservare i due sistemi ritagliati dalla Corte costituzionale (che non potrà intervenire di nuovo prima del voto). Nel frattempo nel partito si salda l'intesa tra Franceschini e Orlando per introdurre il premio di coalizione. In attesa di un rovescio del leader in Sicilia, che nel caso arriverà troppo tardi
Non c’è alcun accordo sulla legge elettorale e la decisione della camera, ieri, di confermare l’esame del testo in aula entro la fine del mese è fumo negli occhi. Anche perché non c’è alcun testo. La mossa serve soprattutto per dare un segno di vita e resistere alla tentazione di spostare tutto al senato, dove non ci sono voti segreti come quello che a giugno ha fatto naufragare l’intesa sul sistema tedesco rivisitato.
La formula con cui la conferenza dei capigruppo ha voluto tenere la legge nel calendario di settembre – «ove concluso l’esame in commissione» – è appena un auspicio. Perché possa realizzarsi in due settimane bisognerebbe: 1) trovare i voti per un testo base, quello firmato Pd-M5S-Fi e impallinato a giugno nel frattempo non va più bene né al Pd né ai grillini; 2) risolvere il pasticcio del Trentino Alto Adige, per il quale l’aula ha stabilito che dovranno valere le stesse regole proporzionali applicate al resto del paese. Per questo i sudtirolesi di Svp minacciano di togliere la fiducia al governo, eppure tornare indietro da un voto dell’assemblea non si può. Si potrebbe rinviare al senato per le correzioni, ma Svp non si fida. E allora – idea del berlusconiano Brunetta – ecco il cavillo: il Trentino potrebbe essere equiparato alle altre regioni solo dalle elezioni successive alle prossime, cioè nel 2023 (e nel frattempo ci si può ripensare). Adesso gli uffici della camera, su mandato della presidente Boldrini, «approfondiranno la questione» per vedere se è possibile prevedere questo rinvio, evidentemente assai sgraziato ma si è già visto di tutto. Compresa un’intera legge elettorale – cioè il vigente Italicum – rinviata nella sua applicazione di oltre un anno dall’approvazione. In ballo non c’è tanto la saldezza della maggioranza (i tre o quattro senatori Svp sono importanti ma non decisivi) quanto la tenuta dell’accordo decennale tra sudtirolesi e Pd che ha fin qui garantito all’alleanza di fare il pieno di parlamentari in Trentino. Il sodalizio, se regge, con il maggioritario può portare a casa anche l’anno prossimo sei senatori su sette e dieci deputati su undici.
Ammesso che si risolvano i nodi tecnici, restano tutti quelli politici. Ed è assai improbabile che a scioglierli possa essere la Corte costituzionale, come si è sentito ieri, in forza di ricorsi nuovi (Besostri al tribunale di Bolzano, Campobasso o Caltanissetta) o vecchi (Besostri attende una decisione a Lecce il 21 settembre, Palumbo il 29 a Messina), perché i tempi della giustizia costituzionale sono assai più lunghi. Nei due precedenti di leggi elettorali bocciate ci sono voluti otto mesi per il Porcellum e undici per l’Italicum dalla rimessione della questione da parte di un tribunale alla decisione della Consulta, tempi che adesso non ci sono (e non c’è ancora, del resto, un’ordinanza). Oltretutto è inverosimile che la Corte costituzionale possa decidere di accelerare bruscamente l’iter per intervenire a comizi elettorali già convocati. Più facile che le due diverse leggi elettorali verso le quali si sta inevitabilmente scivolando possano essere dichiarate incostituzionali quando ormai avranno già prodotto disastri. Ma intanto e a questo che Renzi con ogni evidenza sta puntando. Alimentando, però, il malessere del Pd.
Ieri i ministri Orlando e Franceschini si sono lungamente intrattenuti a colloquio a Montecitorio, il genere di siparietto che si fa per farsi vedere dai cronisti. E lanciare così l’appuntamento di sabato a Roma con il quale Orlando avanzerà una proposta di legge elettorale che contiene il premio alle coalizioni. Una smentita del modello isolazionista (o annessionista) renziano che Franceschini fa sapere di condividere. Peccato che i deputati delle due aree restino una minoranza nei gruppi Pd, a meno che un clamoroso rovescio siciliano finisca con il rimescolare le carte. Improbabile, e per la legge elettorale sarebbe comunque troppo tardi.
l’inerzia gioca per Renzi e per la conservazione del Consultellum sia alla camera che al senato. L’unica novità sarebbe una discesa in campo del governo Gentiloni. «Politicamente una nuova legge è necessaria per dare la prospettiva di un governo stabile», ha detto la ministra Finocchiaro (area Orlando). La capogruppo di Si De Petris la prossima settimana proporrà una risoluzione al senato per interrogare l’esecutivo. La prevede il regolamento, ma è già chiaro che il Pd farà mancare il sostegno.
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