Rottura con i centristi alleati di governo, intesa con tutti gli altri, i partiti di opposizione: Forza Italia, 5 Stelle e in buona parte anche Sinistra italiana. La prima giornata di incontri del Pd sulla legge elettorale certifica le geometrie variabili di Matteo Renzi. O meglio, l’abbandono al suo destino della maggioranza di governo per la sottoscrizione di un patto, sul modello simil-tedesco, il più possibile largo e in grado di reggere al senato.

Alfano sempre più spinto dal segretario Pd nella parte che fu di Mastella quasi dieci anni fa – quando Veltroni discuteva di una legge elettorale non troppo diversa con Berlusconi -, non pensa ancora di far cadere Gentiloni come cadde Prodi nel 2008. Anche perché giustamente nota: «Non so se nei confronti del Pd sia più forte la minaccia di far cadere il governo o di farlo durare».

Votare prima della fine della legislatura è la stella polare del segretario Pd. Lo stato maggiore renziano, lo stesso che pochi mesi fa sosteneva l’impossibilità di fissare il referendum costituzionale a ridosso della sessione di bilancio – con grandi preoccupazioni per l’Europa e la «stabilità» – adesso spiega, anche al Quirinale, che non c’è alcun problema a svolgere le elezioni politiche generali senza la legge di bilancio approvata.

Circolano argomenti ameni, tipo che bisogna agganciare il ciclo elettorale europeo: in Germania si vota a fine settembre. Ma in Francia si vota a inizio giugno, e in ogni caso in Italia non si andrebbe oltre febbraio.

Settembre, comunque, sembra troppo presto persino a Renzi – bisognerebbe fare la campagna elettorale in agosto – e dunque nei suoi incontri di ieri ha al Nazareno indicato un paio di date in ottobre. Forse anche peggio dal punto di vista della ricaduta sull’approvazione della legge di bilancio (che entro metà ottobre andrebbe presentata in Europa).

Renzi ha sentito al telefono Berlusconi. Non occorre che i due si vedano, si incontreranno oggi le delegazioni di Pd e Forza Italia. I capigruppo del partito democratico hanno incontrato ieri i grillini, anche loro adesso favorevoli al modello simil-tedesco, plebiscitato sabato e domenica dal blog. I 5 stelle chiedono correttivi in favore dei grandi partiti, sia palesi (un premio di maggioranza al raggiungimento del 35 o 40 per cento) che occulti (l’utilizzo di un metodo per l’attribuzione dei seggi meno favorevole ai piccoli partiti, come il D’Hont o il Sainte-Laguë). Il primo è impossibile, il secondo invece probabile.

Sono dettagli, anche se è vero, come dice il capogruppo di Mdp in commissione D’Attorre, che «nella legge elettorale i dettagli sono decisivi» – anche Mdp ieri ha incontrato il Pd, concludendo che occorrerà rivedersi domani con davanti i nuovi emendamenti (può presentarli ancora il relatore). Al momento il testo è ancora quello di Fiano, un finto Mattarellum che bisogna trasformare in un simil tedesco.

Tra il vecchio e il nuovo c’è un punto forte di contatto, allo stato in cui sono le trattative. Resta il voto unico, così come previsto da un emendamento di Forza Italia (l’unico consistente su quattro) e come da preferenza dei mediatori tecnici del Pd. Niente voto disgiunto, dunque, ma un solo segno sul candidato all’uninominale che automaticamente si estende alla lista che lo sostiene. Sarà poi quel voto di lista, così com’è in Germania, a determinare la composizione delle camere, e dunque la forza dei partiti in maniera perfettamente proporzionale.

Ma sarà un voto di risulta, che sconta la spinta al voto utile nel collegio: per votare un partito piccolo e sperare che superi la soglia di sbarramento bisogna mettere in conto di non cedere alle sirene del meno peggio nell’uninominale. In concreto la soglia di sbarramento, anche psicologica, sarà quindi assai più alta.

fotina scheda germania musterstimmzettel_Btw2013

In Germania, come si vede dalla scheda elettorale pubblicata qui accanto (un facsimile del 2013) il secondo voto alla lista di partito (che presenta gli stessi candidati in tutto il Land) è libero, può tranquillamente andare a un candidato che non sostiene il prescelto nel primo voto. Ed è il secondo voto, libero, quello che conta. Ragione per cui l’appello al voto utile in Germania ha poco spazio. Il primo segno (a sinistra sulla scheda) serve a scegliere i candidati – con i vincitori sicuri del seggio, cosa impossibile in Italia – all’interno di una proporzione decisa dal secondo voto.

Al contrario, con una legge simil tedesca e un solo voto sulla scheda, Renzi può preparare una campagna elettorale tutta giocata sul richiamo, nei collegi, alla «responsabilità» degli elettori di sinistra e di centro ostili a Grillo. Così come avrebbe fatto con il «Rosatellum». Uno stile di campagna elettorale che certamente peserà sulle possibili alleanze del dopo volto, di certo più che le aperture alla sinistra che fa oggi Franceschini alla.

Sempre che al segretario Pd riesca la frittata. Che prevede l’approvazione della nuova legge elettorale alla camera entro giugno e il rapidissimo bis al senato, in tre settimane, senza toccare una virgola. Soprattutto senza toccare la soglia di sbarramento al 5%. Imprescindibile per il Pd – «che sia tedesco anche nella soglia di sbarramento (così da limitare il numero dei partitini)» ha scritto ieri il segretario nella enews – ma temutissima da Alfano. Il ministro degli esteri quasi preferisce la legge che c’è ora, quel che resta dell’Italicum, che ha una soglia per lui più raggiungibile alla camera (il 3%; al senato dovrebbe però allearsi).

Da qui a luglio il governo avrà di fronte più di un ostacolo e più di un voto di fiducia, al senato. O Forza Italia si decide ad accompagnare il suo sì alla legge elettorale con un sostanziale appoggio a Gentiloni, ovviamente non dichiarato, oppure la crisi può scoppiare all’improvviso. Sui voucher come sulla legge elettorale. E non è detto che per Renzi sia un male. Anche se non gli riuscirà la frittata, l’importante per lui sarà rompere le uova. Cioè il governo.