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Legge Calderoli, come fare a pezzi il patrimonio artistico nazionale

Roberto Calderoli, foto LaPresseRoberto Calderoli, foto LaPresse

Riforme Nelle prossime settimane andrà in discussione in Parlamento la Bozza di disegno di legge del ministro Calderoli con le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui art, 116, terzo comma, […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 aprile 2023

Nelle prossime settimane andrà in discussione in Parlamento la Bozza di disegno di legge del ministro Calderoli con le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui art, 116, terzo comma, della Costituzione” che permetterebbe la nascita di 20 staterelli semi-indipendenti che avrebbero la gestione di 23 materie alcune delle quali, per prima la Sanità, riguardano aspetti fondamentali della vita sociale, culturale ed economica del nostro Paese: l’Istruzione, la ricerca scientifica, i trasporti, il commercio con l’estero e, persino, il patrimonio della cultura ed il paesaggio
Il sentirsi italiani, il senso di cittadinanza e di appartenenza al nostro Paese si basa sulla consapevolezza di essere i custodi di un patrimonio culturale unitario che si è depositato, per millenni, sul territorio italiano e che non ha eguali al mondo.

Perché, come scrive Salvatore Settis: “…La diffusione capillare del patrimonio sul nostro territorio e la cultura italiana della tutela non sono due storie parallele che si sono intrecciate per caso. Al contrario, sono due aspetti della stessa storia: se il nostro patrimonio è tanto abbondante e diffuso, è perché abbiamo fino a ieri saputo conservarlo; e abbiamo saputo conservarlo perché vi abbiamo riconosciuto il nostro orizzonte di civiltà, la nostra anima.”

Il Dl leghista è dotato di un “Elenco delle materie che possono essere oggetto di attribuzione a Regioni a statuto ordinario”. L’elenco contiene (art. 117, secondo comma, lettera s) modifiche sostanziali che frantumerebbero le azioni di tutela del Patrimonio culturale e paesaggistico, ora in capo alla Repubblica, affidandole alle 20 Regioni che diventerebbero veri e propri staterelli. Il trasferimento a loro favore delle funzioni e delle competenze delle Soprintendenze -organi periferici del ministero per i Beni culturali- è in netto contrasto con l’articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, che è nella prima parte, quella teoricamente intangibile della Carta.

A partire dalla modifica del Titolo V della Costituzione – voluta e approvata dal centrosinistra con un solo voto di scarto, nel 2001 – la valorizzazione e, persino, la tutela del Patrimonio culturale e del paesaggio sono sciaguratamente diventate oggetto di negoziazione fra Stato e Regioni, a cominciare dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia-Romagna di Bonaccini. Le tre Regioni avevano chiesto, nelle cosiddette bozze di pre-intesa già con il Governo Gentiloni, una assoluta autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria del Patrimonio culturale, dei territori e dei paesaggi.

Concetto Marchesi, il grande latinista e deputato comunista costituente, nello scrivere l’articolo 9 della Costituzione, nel 1947 si oppose con successo a chi voleva, cavalcando un’onda autonomista, la frammentazione del Patrimonio perché sapeva bene che “…l’eccezionale patrimonio artistico italiano costituisce un tesoro nazionale, e come tale va affidato alla tutela ed al controllo di un organo centrale”. E anche, su suggerimento dell’Accademia dei Lincei, che “… il passaggio delle Belle Arti (all’epoca la rete delle Sovraintendenze, n.d.r.) all’Ente Regione renderebbe inefficiente tutta l’organizzazione delle Belle Arti che risale agli inizi del ‘900, organizzazione che ha elevato la qualità della conservazione dei monumenti e ha giovato a diffondere nel popolo italiano la coscienza dell’arte…”.

Se dovessero passare le modifiche anticostituzionali ed antiunitarie proposte, la tutela e la valorizzazione del Patrimonio culturale e paesaggistico, su cui è fondato il nostro comune sentire, verrebbero polverizzate regione per regione e non potrebbero più costituire un argine organico alla cementificazione e all’oblio definitivo del passato. Ne risulterebbe distrutto il tessuto storico e sentimentale che tiene insieme il Paese, quel “nostro orizzonte di civiltà, la nostra anima”, quel nostro sentirsi ed essere italiani.

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