Dopo tre ore di discussione in via Bellerio, presente l’intero vertice leghista, Salvini non si presenta di fronte ai giornalisti. Non perché sia corso alla maturità del figlio, come racconta qualcuno, e neppure perché messo sotto processo, eventualità ipotizzata più dalla stampa che dai leghisti stessi. A chiedere che a esporsi fossero altri, anzi fosse l’altro per eccellenza, Giancarlo Giorgetti, è stato proprio il leader che, parola dello stesso Giorgetti «non è in discussione»: «Non posso metterci sempre io la faccia, anche perché altrimenti finisce che passo io per una specie di Pierino».

Quali che siano i ragionamenti di Salvini l’esito è una messa in scena ben nota a chiunque conosca la storia della sinistra e dei partiti comunisti. A difendere la linea del partito deve essere sempre chi la ha contrastata ed è indicato come dissidente. Così proprio il numero uno dei governisti spiega che «la Lega è un partito responsabile che però vuol far presenti le proprie idee e le proprie posizioni. È giusto che facciamo sentire la nostra voce». Vuol dire che il governo non rischia? Giorgetti non garantisce: «Io faccio parte del governo. Se ci resto lo decidono i capigruppo, non io». A porte chiuse la ministra Stefani era stata più sbrigativa: «Il mandato dei ministri è in mano a Salvini. Decide lui cosa fare».

Per decidere, il leader ha già ascoltato i deputati, farà lo stesso oggi con i senatori. A Montecitorio ha registrato malumori crescenti, la tentazione diffusa di uscire dalla maggioranza. A palazzo Madama sentirà la stessa musica. Il Carroccio si trincera dietro una presa di posizione molto simile a quella che domani illustrerà a Draghi Conte. Contano le scelte concrete, tasse, stipendi, pensioni, autonomia: è su quel piano e su quei punti che la Lega vuole incidere e «farà il tagliando a Draghi», per citare la formula adoperata da Salvini. Ma questo è repertorio, il più classico e facile tra gli escamotages.

Il vero problema non sono i desiderata della Lega ma quelli dell’ala sinistra della maggioranza, lo ius scholae e la depenalizzazione della cannabis, particolarmente bersagliata dopo che la Relazione annuale sulla tossicodipendenza redatta da palazzo Chigi, dunque dal governo di cui la stessa Lega fa parte, ha spezzato la sua lancia a favore della depenalizzazione.«Se si mettono in campo temi divisivi si mina la tenuta del governo.Se la sinistra va avanti su questa strada il governo potrebbe essere a rischio», trae le conclusioni il capo dei senatori Romeo che al termine affronta i giornalisti spalla a spalla con Giorgetti.

In realtà dai toni del ministro dello Sviluppo ma anche da quelli del capogruppo traspare molta prudenza. La Lega ha investito troppo sul governo Draghi per poterne uscire facilmente. Ma si registra qui un’ulteriore similitudine con il panorama degli ex alleati nella maggioranza gialloverde: a scalpitare e premere non sono gli ufficiali ma la truppa, i gruppi parlamentari.

È evidente la consapevolezza preoccupatissima di quanto Giorgia Meloni riuscirebbe a lucrare dal quadro di una maggioranza nella quale la Lega non riesce a bloccare temi messi al bando tanto da FdI quanto dal Carroccio. Sullo sfondo resta infatti sempre la sfida interna al centrodestra. In mattinata Salvini si era fatto un altro vertice, al Pirellone, con il governatore e gli assessori leghisti: «Attilio Fontana è il nostro candidato in Lombardia», aveva esordito e quello, di rimando, «Mi aspetto la conferma da parte del centrodestra». Ma Letizia Moratti non arretra. Almeno finché non avrà la certezza del semaforo verde per il “suo” Musumeci in Sicilia neppure Meloni.