L’edicola chiusa di Franco è aperta
Una vita tra i giornali A Velletri dopo 71 anni lascia il giornalaio più conosciuto: la cittadinanza è incredula. Una vita trascorsa fra Scalfari e il macchinista Dante. Le difficoltà a cedere l’attività alla giovane Ilaria
Una vita tra i giornali A Velletri dopo 71 anni lascia il giornalaio più conosciuto: la cittadinanza è incredula. Una vita trascorsa fra Scalfari e il macchinista Dante. Le difficoltà a cedere l’attività alla giovane Ilaria
La serranda quasi a mezza asta non fa desistere nessuno. Il via vai è continuo. Entra Paola e dice: «E allora? Franco, novità? Mamma mia peccato vedere che stai svuotando». Poi tocca a Silvana: «Non può essere che da domani troviamo chiusa la serranda, aprila lo stesso perché è brutto». Arriva Giancarlo: «Dai, di’ la verità, non chiudi più? Lo sapevo che non poteva essere vero».
Da 71 anni ogni mattina che «dio manda in terra» l’edicola di Franco nella centrale piazza Mazzini è un punto di riferimento per tutta Velletri.
LA CRISI DELL’EDITORIA PICCHIA forte anche qui, un paesone di 50mila anime sui Castelli romani in cui leggere e informarsi è una tradizione consolidata. «Credo fossimo l’unico comune in Italia ad avere quattro settimanali di cronaca locale», spiega sotto il suo berretto di pile blu quell’instancabile personaggio che risponde al nome di Franco Rosati. «Iniziò La Torre nel 1979, poi si aggiunsero Il Cittadino, Velletri Oggi e L’Artemisio, l’unico sopravvissuto. C’era una concorrenza sfrenata, specie al tempo del sequestro di Davide Cervia (l’incredibile e irrisolto caso di cronaca della sparizione del militare nel 1990, ndr): tre uscivano il sabato, uno il mercoledì. Vendevano 4.500 copie alla settimana, tutte esaurite. Anche Eugenio Scalfari non ci credeva, glielo spiegai davanti ad un caffè». Il fondatore di Repubblica è stato sicuramente il cliente più famoso di Franco: «Aveva una casa a Velletri, spesso prendeva la sua mazzetta da 12 quotidiani o mandava qualcuno a prenderla».
La storia di Franco ha molti altri tratti al limite dell’inverosimile, tuttavia certificati dallo stesso e confermati da chi lo conosce «da una vita». «Mio padre Amedeo faceva il mastro muratore e voleva aprire un’attività per mio fratello perché infermo in un braccio. Era il 1948. Ma lui nell’edicola non c’è voluto entrare e allora io, nonostante avessi solo 10 anni e facessi la quinta elementare, iniziai il mestiere. Mia sorella più grande mi faceva i conti e io da quel giorno e per 71 anni mi alzo tutte le mattine alle 5 e alle 6 apro la serranda».
LAVORO MINORILE e lavoro gravoso. «I giornali arrivavano alla ferrovia e li dovevo scaricare e portarli su all’edicola. Poi negli anni seguenti c’era il tranvetto e dovevo scendere a Roma a Capanelle alle cinque e tre quarti». Tempi eroici in cui di quotidiani ce n’erano pochi. «Si vendevano di più i fumetti: “L’uomo mascherato” e “Mandrake”, rigorosamente pronunciato come si legge.
Franco si definisce però «un uomo di tutta la filiera dell’editoria». Perché oltre all’edicolante per molti anni ha fatto anche il distributore. «Quando ebbi finalmente la macchina coprivo Lariano e Giulianelli, verso Latina. L’ho fatto per 12 anni, ero il distributore per Rizzoli e Mondadori: prendevo il 5 per cento su ogni copia». Il destino di quest’altra categoria della filiera è perfino più negativo degli edicolanti: «Erano 600 e ora sono la metà. Oggi ci sono i distributori zonali e superzonali. E presto si arriverà ad avere un distributore solo per ogni regione».
IL PERIODO D’ORO per le edicole furono comunque gli anni settanta. «I soldi si facevano con le enciclopedie: la gente non perdeva un fascicolo e io mi ero organizzato con i rilegatori e recuperavo tutti gli arretrati, avevo negozi di appoggio a Roma e Latina».
Ottantun anni portati con fierezza, potendo annoverare una carriera sportiva altrettanto incredibile: ala destra della Vis Velletri da giovane, quattro maratone, compresa una a New York, finite su tempi invidiabili perfino per gli attuali quarantenni.
Non si è fatto mancare nemmeno la carriera sindacale. «Sono stato delegato della Sinagi nel 1975. Ma poi ho rotto perché non fanno gli interessi degli edicolanti. Hanno paura degli editori che fanno il bello e il cattivo tempo. L’aggio su ogni copia è sceso sempre di più: era al 25 per cento, ora è al 18,5. Agli editori bisognerebbe dire: “Se è così basso, i giornali vendeteveli da soli”. E poi fanno gli sconti stracciati sugli abbonamenti, anche il 70 per cento, che ci hanno ulteriormente ucciso».
L’EDICOLA COME PRESIDIO SOCIALE e anche politico. Come quella volta che davanti al suo negozio si tenne una manifestazione contro l’ingiusto licenziamento del macchinista Dante De Angelis con annessa dimostrazione del “pedale dell’uomo morto”, il sistema diabolico inventato dalle Fs per togliere il doppio agente: ogni 55 secondi bisognava staccare il piede dal pedale sennò scattava la sirena d’allarme. Dante, che a Velletri conoscono tutti, si rifiutò di guidare il treno da solo e fu licenziato. Fu la prima di due volte, in entrambi i casi reintegrato dal giudice. «Anche se non la pensiamo uguale su tutto, Dante lo ha anche votato, sebbene dopo un po’ mi ha fatto arrabbiare quando da assessore all’Urbanistica voleva mettere i paletti alla fontana per pedonalizzare la piazza. Anni dopo la fontana l’ho sequestrata, coprendola per chiedere che fosse messa in sicurezza dalla sovrintendenza. E ci sono riuscito».
Politicamente «di tradizione repubblicana», nell’edicola di Franco il manifesto «ha sempre venduto 4 o 5 copie al giorno, senza cali: tre lettori erano ferrovieri come Dante». «L’Unità ne vendeva poche di più, a parte la domenica che veniva diffusa a mano. Il giornale più venduto è ancora il Corriere dello Sport, poi Il Messaggero; Repubblica è molto lontana.
[do action=”citazione”]Quando ero chiuso la domenica spesso ero io a comprare il manifesto nelle altre edicole», ci tiene a ricordare.[/do]
Da anni anche lui ha due licenze. «Oltre quella da edicolante che ho preso a 22, dovendo dare anche l’esame di terza media, ho quella da esercente commerciale: per i giochi, le figurine. Il centro del nostro lavoro però rimangono i quotidiani: uno qua entra per quello e poi compra qualcos’altro per il figlio».
Franco è sempre stato «ben fornito», «laico e democratico». «Le uniche arrabbiature c’erano quando non tornavano i conti perché sparivano i giornaletti zozzi: capii poi che gli uomini si vergognavano di comprarli e allora li rubavano».
IL FUTURO È GRIGIO, NON NERO. «I giovani non hanno il gusto di tenere un giornale in mano. Bisognerebbe ridarglielo rendendo obbligatoria la lettura dei giornali nelle scuole. Sono sicuro che molti se ne innamorerebbero».
La decisione di lasciare l’attività l’ha presa per tante ragioni. «A 81 anni non ci vedo più bene e non posso guidare col buio». L’idea di Franco era chiara: «Cedere l’attività a Ilaria, la ragazza che da 4 anni mi aiuta, bravissima col computer». Il tutto «cedendo la licenza gratuitamente. Ma mi dicono che non si può fare. Ho smosso il Comune e la Regione: sto aspettando notizie sulla possibilità del subentro». Ilaria intanto continua a servire clienti e ammette: «Mi piacerebbe, è un lavoro che appassiona».
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