Haris Golemis, 75 anni, è un economista che ha lavorato a lungo per la Banca centrale greca, in particolare nel dipartimento di ricerca. Ha fatto parte di Syriza fino al 2017, anno in cui ha lasciato anche la direzione del centro studi Nikos Poulantzas, legato al partito. È stato tra i fondatori del Social forum europeo. Fa parte del comitato editoriale di Εποχή [la stagione, nda], un mensile di riflessione politica critica tra diverse aree della sinistra greca. È anche caporedattore della pubblicazione annuale di Transform! Europe. 

Nel 2018 è finita l’era dei memorandum. Con loro è terminata anche l’austerity?

L’Unione Europea è stata per anni in un regime di austerity, specialmente dallo scoppio della crisi finanziaria nel 2007-2008. I paesi indebitati, i Pigs, erano in una situazione peggiore perché non potevano accedere ai prestiti dei mercati internazionali. Così attraverso i memorandum, oltre le politiche di contenimento della spesa pubblica rigorose imposte a tutta l’Eurozona, i governi dei Pigs altamente indebitati sono stati costretti ad applicare dei programmi di aggiustamento specifici sotto la sorveglianza della Troika. Tutti sappiamo che Syriza è stata forzata a firmare il terzo memorandum dopo la sconfitta nei negoziati. Questo accordo è terminato nel 2018. L’austerity è diventata meno stretta e la Troika ha smesso di dettare le sue politiche al governo: è la principale differenza tra il periodo prima e dopo il memorandum. Con la crisi del Covid-19 le strette regole fiscali del Patto di stabilità sono state allentate ed è stata realizzata una politica neokeynesiana, che ha come caratteristiche principali l’aumento della spesa pubblica per i sussidi in modo da evitare la recessione, che avrebbe portato serie reazioni sociali. Questo è successo anche in Grecia con il governo di Nea Dimokratia. Comunque, nonostante l’allentamento fiscale, l’austerità nel senso di salari bassi non è mai finita. Specialmente nel settore privato, soprattutto perché i salari sono stati tenuti bassi e di fatto ridotti in termini reali dall’inflazione, che era alta anche prima della crisi energetica. In gran parte questo declino dei salari è dovuto al fatto che il governo di destra, fedele alla sua dottrina neoliberale, non ha ripristinato i contratti collettivi aboliti durante i memorandum. Oggi le classi lavoratrici si trovano in una situazione economica persino peggiore di quella dell’inizio della crisi finanziaria. La situazione si può tranquillamente paragonare a quella che c’era durante i memorandum.

Eppure alcuni indicatori economici sembrano dire il contrario. La Commissione europea stima un 2,4% crescita del paese ellenico per il 2023, quarto più alto in Europa. Il Pil è cresciuto da 173,3 miliardi di euro del 2019 a 184,6 lo scorso anno. La disoccupazione è passata dal 17,31% del 2019 all’11,9% del 2022.

Non sono tra quelli che credono che le statistiche siano fatte a tavolino. Accetto i dati elaborati dalle organizzazioni internazionali. Ma dobbiamo sapere che dietro gli stessi numeri si nascondono cose diverse. Per esempio: cosa significa l’aumento del Pil? Da cosa deriva? Chi ne beneficia? Una crescita sicuramente c’è, ma viene anche dai cosiddetti investimenti stranieri. Questi impattano sul Pil ma non migliorano le condizioni di vita della popolazione. Non producono più lavoro per esempio. Si tratta spesso di acquisizioni di compagnie esistenti o strutture produttive nel paese, alcune di loro attraverso privatizzazioni di imprese pubbliche. Allo stesso tempo se non teniamo in conto la disuguaglianza nella distribuzione del reddito il solo dato del Pil è inutile. Per esempio il coefficiente di Gini, che misura le disuguaglianze, vediamo che con il governo di Nea Dimokratia è cresciuto: nel 2018 era sceso a 32,9 mentre adesso è a 33,6. Nel periodo dei memorandum il risultato peggiore è stato 36,3 (nel 2012). Quindi ci sono delle categorie sociali che stanno avendo benefici, per esempio i proprietari di imprese farmaceutiche o i proprietari di hotel, ma allo stesso tempo per gli strati più poveri della società aumenta la sofferenza. Per loro il 2,4% di Pil in più non significa niente. Anche perché l’inflazione galoppa. I numeri dicono che il tasso di inflazione in Grecia è uno dei più bassi dell’eurozona ma di fatto questo non ha alcun effetto reale sugli standard di vita della maggior parte della popolazione, dal momento che i salari reali sono diminuiti, come spiegavo prima. L’aumento dei prezzi, specialmente per il cibo, colpisce soprattutto le classi popolari che spendo la maggior parte del loro reddito molto basso in cibo. L’inflazione probabilmente sarà il peggior nemico del prossimo governo. È ovvio che una parte del fenomeno sia dovuto al funzionamento del sistema: nel capitalismo un governo non può costringere le società private ad abbassare o mantenere stabili i prezzi dei loro prodotti. Ma può prendere delle misure per limitare il fenomeno e il governo di Nea Dimkoratia non ha fatto niente a questo scopo, per esempio riducendo le tasse indirette su cibo o carburante. A parte la sua ideologia, secondo cui i profitti guidano la società e non possono essere limitati, la sua politica è anche dovuta alla paura di aumentare il deficit, che andrebbe contro le nuove istruzioni attese dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea sul bisogno di tornare alle regole del Patto si stabilità per affrontare la nuova grande crisi economica in arrivo. È tempo di tornare all’asuterity, messa da parte durante il Covid. La mia previsione è che in uno o due anni avremo di fronte una nuova ondata di politiche di austerità in tutta Europa ma soprattutto nei paesi del sud. Sarà simile a quanto accaduto nel 2008. Per tornare alla sua domanda quello che sta accadendo ora in Grecia è quello Georgios Papandreou, un vecchio politico di centro padre di Andrea Papandreou leader del Pasok, era solito dire: «i numeri prosperano, le persone soffrono».

Almeno il debito è diminuito?

Da quando nel 2019 Nea Dimkoratia è andata al governo siccome c’è stato un aumento del prodotto interno lordo il peso percentuale del debito è sceso di circa il 10% (da 180,6% a 171,3%). Per i mercati finanziari il fatto che quel tasso sia minore è un buon segno. In generale, vista la passata esperienza, credo che quello che importi ai mercati sia soprattutto un governo stabile, anche di tipo socialdemocratico o ritenuto tale. In quel caso anche se il debito è molto alto c’è fiducia sul fatto che il paese è affidabile e può pagare i suoi debiti il tasso di interesse dei bond statali rimane relativamente basso. Per le istituzioni finanziarie e i mercati la Grecia sta andando bene. La fiducia è aumentata e si attende anche un miglioramento della valutazione delle agenzie di rating, soprattutto se vince di nuovo la destra. Ma è un’immagine quasi magica. Di nuovo: i numeri prosperano, le persone soffrono.

A livello economico cosa dicono i programmi di Syriza e Nea Dimokratia?

Dal mio punto di vista Syriza non è più un partito della sinistra radicale che ambisce a trasformazioni reali della società, a cambiare gradualmente ma profondamente il sistema. Non significa che sia uguale a Nea Dimokratia. I due partiti hanno programmi economici e sociali completamente diversi. Neo Dimokratia è un partito autoritario neoliberale. Prendiamo per esempio il sistema sanitario. Quando Mitsotakis è andato al governo ci lavoravano circa 100mila persone, ora sono 80mila. C’è una forte carenza di personale. Syriza propone di aumentare la spesa per la salute [dal 4% al 7% del Pil, nda]. Nea Dimokratia dice di voler aumentare gli investimenti ma in realtà continuerebbe a favorire i privati. Lo stesso vale per il settore dell’educazione. Secondo la Costituzione greca non si possono creare università private, ma Nea Dimokratia sta cercando di aggirare questo divieto. Non per raggiungere standard più alti, ma per permettere ad alcune compagnie di fare soldi su chi resta escluso dagli atenei pubblici. Anche rispetto alle proposte sulle prestazioni sociali i due programmi sono lontani. Diciamo che Nea Dimokratia ha un chiaro programma neoliberale, mentre Syriza uno di stampo socialdemocratico. Ma Tsipras non intende contestare la direzione generale delle politiche economiche che viene dall’Europa. Proverà, comunque, a condividerne il peso in maniera più egualitaria. Personalmente sono scettico sulle proposte economiche perché temo che per come funzionano le istituzioni europee Syriza non possa realizzarle se vanno contro il trend generale della nuova austerità. Quindi una cosa sono i programmi, un’altra le effettive possibilità di metterli in pratica. Invece c’è un’area in cui i due partiti si sovrappongono: la politica estera. Sono entrambi molto pro Nato e e incapaci di prendere decisioni coraggiose per cercare una coesistenza pacifica con la Turchia, un vicino innegabilmente aggressivo. Recentemente Syriza, provando a ottenere più voti dalla cosiddetta «classe media» e adattarsi alle visioni nazionalistiche della maggioranza della società greca, ha criticato la politica estera di Nea Dimokratia da destra. E questo è molto pericoloso.

Invece Mera25, che si chiama «alleanza per la rottura», può essere quel partito di trasformazione sistemica cui faceva riferimento?

Mera25 è una debole organizzazione politica costruita intorno una persona brillante come Yanis Varoufakis. Una persona che ha posizioni economiche buone e tecnicamente coerenti e una grande intelligenza. Propone cose tecnicamente possibili. Non è un estremista, come sostiene la destra o il centro-sinistra. Al contrario ha proposte di cambiamento «moderate», convinto che ci sia sempre una soluzione win-win. Questo è quello che ha fatto durante i negoziati con la Troika. A livello teorico aveva ragione. Le sue proposte si sarebbero potute realizzare e avrebbero fatto sia gli interessi della Grecia che quelli dell’intera Eurozona. Ma in questo tipo di negoziati non conta la logica, conta la forza. Il problema allora era che lui, ma anche molti di noi, non avevamo capito che perfino le più piccole obiezioni al rigoroso modello di austerity, obbligatorio secondo le istituzioni europee e le classi dirigenti, non erano permesse. Non era possibile per un piccolo paese della periferia europea guidato da un governo di sinistra sfidare le regole generali dell’eurozona e della Ue. Non puoi negarle e rimanere nell’euro. E se l’equilibrio dei poteri è sfavorevole, com’era a quel tempo, una rottura che avesse portato all’uscita dall’eurozona e forse anche dall’Ue avrebbe potuto generare un disastro. Non potevamo battere la Troika soprattutto perché non eravamo preparati a uno scontro e a una rottura. Lo stesso vale oggi e sempre. In questo momento storico non puoi avere una piccola isola di socialismo o persino di keynesismo in un arcipelago capitalista neoliberale. Cuba davanti alle coste statunitensi è stata possibile perché c’era l’Urss. Quello attuale è un mondo diverso. Quando oggi Varoufakis parla di rottura, penso che si riferisca al fatto che se le misure radicali del suo programma fossero rigettate delle autorità europee il governo greco dovrebbe insistere a metterle in pratica anche a costo di un’uscita dall’eurozona, sebbene questa non sia una priorità. Per lui è chiaro che è meglio uscire che affrontare un nuovo periodo di austerità estrema. Rispetto al suo programma penso che una parte sia «realisticamente» radicale. Per esempio la completa abolizione delle estrazioni di petrolio e gas sia in terra che in mare. Cancellare i combustibili fossili in quell’area significherebbe eliminare una delle cause del conflitto con la Turchia. Poi ha un buon piano per la protezione delle case delle persone più povere dai fondi immobiliari. Anche su altri temi è più radicale di Syriza. Personalmente credo ci sia un enorme bisogno di disfarsi della destra, ma che sia molto difficile. Un modo, per esempio, potrebbe essere la coalizione tra Syriza, Pasok e Mera. Perché se Syriza si allea solo con il Pasok il suo programma sarà peggiore di quello atteso dai suoi sostenitori. Con tre partiti, anche se Mera25 garantisse solo un appoggio esterno, andrebbe meglio. Ma temo che questo non sia più possibile per come si sono messe le cose. In ogni caso molte persone, incluso me stesso, che vogliono cacciare Nea Dimokratia ma non sono soddisfatte delle politiche di Syriza o Mera25, anche se probabilmente voteranno per una di loro, credono che dal giorno dopo le elezioni dovrà essere discussa di nuovo la rifondazione di una sinistra radicale e democratica. C’è un grande vuoto a sinistra di Syriza e non credo che Varoufakis e i suoi alleati possono riempirlo.