«Le Jeu de Robin et Marion» di Adam Le Bossu
Alias Domenica

«Le Jeu de Robin et Marion» di Adam Le Bossu

Improvvisi Storia delle opere che hanno mutato i paradigmi della musica d’arte: prima puntata
Pubblicato 8 mesi faEdizione del 28 gennaio 2024

La data di nascita del teatro musicale è un enigma degno dell’oracolo di Delfi. Lorenzo Bianconi ha sostenuto a più riprese e con tutte le ragioni – per esempio in Il Seicento (Edt, 1982) – che l’opera è uno dei pochi generi, nella storia della musica occidentale, a poter vantare una doppia origine. La cosiddetta «opera aristocratica» vede infatti la luce a Firenze, il 6 ottobre del 1600, quando in occasione del matrimonio «in contumacia» tra Enrico IV di Francia e Maria de’ Medici, va in scena, di fronte a un manipolo di nobili e regnanti, l’Euridice di Jacopo Peri e Ottavio Rinuccini. La così chiamata «opera impresariale» appare invece trentasette anni più tardi, a Venezia, nel mitico Teatro di S. Cassiano, quando la ditta Ferrari&Mannelli inventa un oggetto fino ad allora sconosciuto: il botteghino. E trasforma così l’opera, nel caso specifico la leggendaria Andromeda, in una merce «immaginaria», che si compra e si vende come una derrata di grano. E fino a qui parla la storia, senza ombra di bugia. Un «possente mucchietto» di storici della musica si è però intestardito a voler rintracciare l’avvento del teatro musicale molti e molti secoli addietro. Spinti dalla insofferenza per quella che Thomas Kuhn chiamerebbe «scienza normale» sono andati a cercarlo (e forse lo hanno trovato) nella gloriosa stagione dell’ars trobadorica, ossia nella Francia del tredicesimo secolo. Le scaturigini dell’idea assai bizzarra di mettere in scena una storia cantata sarebbero da rintracciare in un manoscritto, del quale esistono tre diverse versioni, che reca un titolo oggi quasi dimenticato: Le Jeu de Robin et Marion. L’autore (presunto) dei versi e delle musiche è un personaggio che sembra tratto da un’autentica chanson de geste.

Il suo nome è Adam de la Halle, soprannominato le Bossu per via di una gobba (pare) piuttosto vistosa. Nato ad Arras, nord della Francia, nel 1237 (esattamente quattro secoli prima di Andromeda…) Adam studia le discipline del trivium in un’abbazia nei pressi di Cambrais e quelle del quadrivium alla Sorbonne, l’Università di Parigi, dove inizia a scrivere le sue prime opere: mottetti, chanson, rondeaux. Indirizzato dal padre alla vita del convento si ribella al proprio destino e sposa la sua amante, una certa Maroie o Marie che compare in alcune delle sue chanson. Entra poi al servizio di Carlo I d’Angiò, figlio del re di Francia Luigi VIII, e lo segue nei suoi favolosi viaggi nei paesi d’Oriente: in Egitto, Siria, Palestina e finalmente in Italia.

Dal 1283 si stabilisce presso la corte angioina di Napoli, la città in cui muore, verosimilmente (la data è incerta), nel 1288. Ed è proprio a Napoli che viene rappresentato per la prima volta, cinque anni prima, alla presenza del Re di Napoli e della sua consorte, il suo fortunatissimo Jeu. In che cosa consiste la novità di quest’opera, la fondazione del nuovo paradigma, come direbbe Kuhn? Adam è, storicamente, un trouvère, ossia uno dei poeti-compositori nati nella Francia settentrionale dopo la crociata contro gli Albigesi e dunque la scomparsa dei trobadours provenzali. Dai suoi predecessori eredita le cosiddette formes fixes che loro stessi praticavano: la chanson, la aube, la pastourelle, e così via. Formalmente il Jeu altro non è, quindi, che una pastourelle, ossia un genere di poesia per musica che possedeva un copione narrativo fisso: un cavaliere incontra una giovane pastorella intenta a governare il suo gregge, la corteggia e vincendo la sua iniziale ritrosia, la possiede. Ma come tutti i «novatori» Adam non si piega alle convenzioni: assegna i ruoli di Marion, la pastorella, di Robin, il suo innamorato, e di Aubert, il cavaliere, a interpreti differenti, facendone così dei veri e propri personaggi, e introduce, nel canovaccio, la variante determinante del lieto fine: grazie alla intraprendenza di Robin, infatti, il cavaliere viene cacciato e la vicenda si conclude con una lieta e spensierata bergère. E così il Jeu diventa, forse malgré soi, il primo esempio storico di un autentico «teatro in musica».

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