Lavoro

Lavoro «smart»: l’innovazione c’è per le aziende, ma non è per tutti

Lavoro «smart»: l’innovazione c’è per le aziende, ma non è per tutti

Diritti Arriva lo Smart work. Tra pochi giorni il governo approverà un Ddl insieme a quello del lavoro autonomo. Incentivi alle imprese che adottano la formula "agile" del lavoro subordinato. Il governo recepisce lo sganciamento del salario dall'orario di lavoro, ma ha una visione ancora ristretta dell'innovazione dei diritti.

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 6 gennaio 2016

Insieme alle norme sul lavoro autonomo, il governo presenterà entro il 31 gennaio un disegno di legge in sei articoli sul lavoro smart (Smart Work), il lavoro agile. I provvedimenti sono stati collegati alla legge di stabilità in maniera singolare. Riguardano alcuni aspetti universali del welfare (il primo, per il lavoro autonomo «non imprenditoriale») e specifici (il secondo, per l’attività da remoto, sul pc, per i dipendenti delle grandi aziende).

In attesa del prossimo Consiglio dei ministri che dovrebbe adottare i provvedimenti, ma ancora non si sa se in Ddl distinti o con un’arlecchinata in un disegno di legge unico, si ragiona in queste ore ancora sulle striminzite bozze redatte dal giuslavorista Maurizio Del Conte, consulente di Palazzo Chigi e nominato alla presidenza della costituenda agenzia per le politiche attive del lavoro Anpal, nel caso dello «statuto del lavoro autonomo» non si conoscono ancora i soggetti beneficiari: saranno le 180 mila partite iva iscritte alla gestione separata dell’Inps, oppure i 5,4 milioni di lavoratori autonomi, compresi i professionisti iscritti alle 19 casse private? Nel primo caso, la tanto attesa «svolta» sul lavoro autonomo sarebbe nient’altro che una bufala.

Nel caso del lavoro smart c’è qualche elemento di certezza in più: il suo compito è quello di recepire alcune norme sulla contrattazione aziendale di secondo livello, già in essere nelle grandi imprese come Tim o Vodafone, e farne legge dello stato. Il lavoro agile consiste in una prestazione lavorativa svolta fuori dall’azienda rispettando vincoli di orario stabiliti dal contratto, senza penalizzare i lavoratori dal punto di vista dell’autonomia lavorativa, della carriera o della retribuzione.

Incentivi alle imprese

Su 6 giorni si può lavorare da casa 1 o 2, risparmiando viaggi, inquinamento e spese. Nella bozza, gli estensori tengono a dire che lo «smart work» non è il vecchio «telelavoro» che implica pesanti adempimenti a carico delle imprese. Il lavoro sarà «smart» per l’impresa, perché si prevede di estendere i contributi previsti dalla legge di stabilità per gli incrementi di produttività. Le imprese riceveranno gli incentivi per la quota di lavoro «smart» accordata consensualmente al lavoratore. Una possibilità negata dal «telelavoro». Altri incentivi in arrivo, dunque, dopo quelli del Jobs Act.

Una conferma dell’interesse delle grandi imprese per una simile misura è stato confermato da una sollecita campagna pubblicitaria «native advertising» apparsa sul sito del Corriere della Sera dopo la metà di novembre 2015. Una campagna inedita in cui un’azienda sollecita il governo ad adottare un provvedimento legislativo e cerca il consenso tra i lavoratori fissi. Un tempo lo facevano i partiti in occasione delle elezioni o dei referendum. Al tempo di Renzi lo fanno solo le imprese per una legge di loro interesse.

 

La campagna della Tim a sostegno della legge sullo “Smart Work”

 

L’orario smart e la retribuzione

Nello «smart work» la retribuzione oraria viene svincolata dall’orario di lavoro. È quello che provò a dire infelicemente qualche tempo fa il ministro del lavoro Poletti. Tutti pensavano che parlasse del rilancio del lavoro a cottimo. Così non è: se il lavoro si smaterializza, questa potrebbe essere la realtà per tutti. Il governo, invece, interpreta questa trasformazione dal punto di vista dell’organizzazione dell’impresa, non con quello dei diritti di tutti lavoratori. Saranno solo i dipendenti, non la maggioranza delle «false» partite Iva che lavorano con contratti da consulenti (ad esempio in editoria) a beneficiare del cambiamento.

Tutti pensano che la legge Fornero prima, e oggi il Jobs Act, abbiano cancellato magicamente questo fenomeno della parasubordinazione. Una conoscenza minimale della realtà del lavoro nelle redazioni dimostra esattamente il contrario. Le aziende, in particolare gli editori, usano le partite Iva (e molte altre forme del lavoro indipendente) per risparmiare sul costo del lavoro a tempo indeterminato con il contratto. Renzi offre sempre una versione riduzionistica e parziale delle possibilità legate all’innovazione.

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