L’Atleta conteso, Storie e illegalità tra Fano e Malibù
Archeologia e beni culturali ‘Getty Bronze’, ‘Atleta di Fano’, ‘Giovane Vittorioso’, nomi alternativi nell’annosa disputa Italia-Usa: tre studiose in un volume monografico per «L’Erma»
Archeologia e beni culturali ‘Getty Bronze’, ‘Atleta di Fano’, ‘Giovane Vittorioso’, nomi alternativi nell’annosa disputa Italia-Usa: tre studiose in un volume monografico per «L’Erma»
Se il disseppellimento di una statua durante uno scavo archeologico ha sempre un esito d’incantevole stupore, che sarà tanto maggiore quanto più grandi saranno la dimensione, il valore storico e anche (inutile negarlo) la bellezza del reperto – si pensi, per fare un esempio recente e molto popolare, ai Bronzi di San Casciano estratti dal fango di una vasca pertinente a un santuario etrusco-romano –, il rinvenimento, perlopiù fortuito, di una scultura in mare può suscitare emozione ma anche sconcerto e paura. Questo è ciò che hanno provato all’alba di un giorno d’agosto del 1964 dei pescatori di Fano, quando nell’issare le reti si accorsero che in una maglia non era rimasta incagliata – come accadeva solitamente con la tecnica dello strascico – una vitina (anfora nel gergo dei portuali fanesi, ndr) bensì il dito di una statua alta circa 151 cm. Si trattava del Giovane Vittorioso, anche noto come Getty Bronze e Atleta di Fano, il quale si presentava senza piedi e appariva come «un monstrum, un corpo disumanizzato dal mare e dal tempo, deformato dalle concrezioni che avevano aggredito la superficie del metallo, mettendo in evidenza in modo ancora più inquietante i bulbi oculari lucidi e vividi (forse in pasta vitrea, sempre che i racconti sull’originaria presenza di questi elementi siano attendibili) o, in alternativa, il buio delle cavità oculari».
Così Rachele Dubbini ricostruisce nel contributo che introduce Un atleta venuto dal mare Criticità e prospettive di un ritorno (L’Erma di Bretschneider «Adrias, 9», pp. 220, euro 90,00) i primi istanti della «pesca miracolosa» di un fanciullo che s’incorona, databile tra il IV e il II secolo a.C. Il volume, di cui Dubbini è curatrice assieme a Jessica Clementi e Mariateresa Curcio, raccoglie gli atti di un convegno promosso nel 2021 dall’Università di Ferrara e che, come le tre studiose tengono a ricordare, deve molto all’impegno e agli insegnamenti del compianto Marcello Barbanera per «un’archeologia davvero totale, con un approccio curioso, aperto ma anche critico al mondo antico, in grado di abbracciare e comprendere diversi campi del sapere in una lettura storica della cultura, senza limiti cronologici di sorta».
Oltre alle prefazioni firmate da Luigi La Rocca, attuale direttore del Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale presso il Ministero della Cultura e dal presidente della Fondazione Pio Sodalizio dei Piceni Giovanni Castellucci, il libro consta di una decina di interventi, tutti rigorosi e approfonditi, volti ad analizzare i differenti aspetti di una vicenda che, come svela il sottotitolo, non è solo archeologica.
Nel momento stesso in cui a bordo del peschereccio fu deciso di sbarcare l’enigmatico umanoide, ad agitare gli animi dei protagonisti non furono infatti né le domande su un passato che tornava inaspettatamente a galla né un sussulto di coscienza per un bene prezioso che avrebbe dovuto essere annunciato alla comunità come ogni nuovo nato. Il profumo dei soldi era più forte dell’odore emanato da quel «grosso oggetto» di bronzo che faceva sperare in un originale greco, ricoperto di molluschi, alghe e ostriche putrescenti.
A prevalere fu dunque il senso per gli affari sporchi, già affinatosi in quelle coste con il commercio illegale di anfore. Sebbene sia molto complicato districarsi tra varie e controverse testimonianze, nel contributo di Ludovico Rebaudo sulle cosiddette statue-gonfalone ovvero le sculture antiche diventate simboli identitari di alcune città italiane, si possono ripercorrere le rocambolesche vicissitudini dell’Atleta di Fano, che venne in realtà recuperato vicino agli scogli sommersi di Pedaso, una quarantina di miglia al largo del monte Conero, nelle acque antistanti l’attuale provincia di Fermo. L’opera fu occultata per un breve periodo in località Carrara, nella periferia di Fano, e seppellita in un campo di cavoli.
Poco tempo dopo, il Bronzo fu venduto ai fratelli Barbetti, commercianti di Gubbio, che lo immersero nella vasca da bagno della canonica del paese e lì lo tenettero nascosto per circa un anno. Nel 1965 la statua fu ceduta a un anonimo acquirente e se ne perdettero le tracce fino al 1972, quando ricomparve «pulita» presso l’antiquario Heinz Hertzer di Monaco di Baviera, che la sottopose a esami per verificarne l’autenticità. Nel ’74 passò al gruppo Artemis SA, un consorzio internazionale di mercanti d’arte con sede a Lussemburgo. Il Giovane Vittorioso fece infine il suo ingresso negli Usa dal porto di Boston nel 1977, diretto al Getty Museum di Malibù che l’aveva nel frattempo acquisito e dove è tutt’ora custodito.
Se Dubbini ragiona sull’iconografia della statua e indaga, confrontando le differenti ipotesi, sul contesto di provenienza e sulle possibili cause del suo inabissamento nell’Adriatico, Curcio propone invece una riflessione sulle differenti denominazioni attribuite al Giovane Vittorioso, che rispecchiano a loro volta i due poli del contenzioso internazionale sulla legittima destinazione del capolavoro: Stati Uniti d’America o Italia. I nomi Atleta di Fano e Getty Bronze contengono due riferimenti territoriali e culturali che mettono subito a fuoco la questione della proprietà e del diritto di conservare ed esporre al pubblico il pezzo. Dopo la sentenza del 30 novembre 2018 con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito che l’Italia ha effettivamente un diritto legale sulla statua (verdetto riconosciuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo lo scorso maggio), il Getty Museum ha rivendicato la legittimità dell’acquisto, sottolineando le opportunità di visibilità e di migliore conservazione e valorizzazione che la permanenza a Malibù garantiscono.
Risulta allora più chiaro come il già famoso nome Getty Bronze abbia contribuito a consolidare il legame del reperto con l’istituzione americana, allontanando – come nel caso del più neutro Giovane Vittorioso – l’opera dal contesto italiano. Curcio evidenzia anche come le denominazioni territoriali e di appartenenza non abbiano scoraggiato i tentativi di attribuzione autoriale. Sin da prima dell’acquisto da parte del Getty Trust, alcuni studiosi hanno infatti tentato di ricondurre la statua allo stile e alla mano di Lisippo, il noto artista di Alessandro Magno, citato dalle fonti per le sue creazioni in bronzo. Sebbene tale teoria sia stata superata, sulla stampa italiana mainstream continua a risuonare l’eco del Lisippo.
Il valore del libro risiede non solo nelle aggiornate ricerche scientifiche relative alla scultura e più in generale al «movimento» di statue nel mondo antico tra spoliazioni e commerci, ma anche nel supporto dato alla battaglia per il ritorno del reperto in Italia. Giuditta Giardini offre al lettore la dettagliata e appassionata trattazione di un caso complesso in cui alla legge si unisce la morale, e si concentra in particolare su quegli «argomenti emozionali» che, nell’ambito della restituzione di beni d’arte, possono far leva sull’affezione che uno Stato o una comunità ha nei confronti di un’opera.
L’autrice si appoggia dapprima sull’esempio dei contesi Marmi del Partenone per poi considerare le argomentazioni nazionaliste applicate all’Atleta, el Lisipp in dialetto fanese. Dalle varie copie sparse in città ai carri allegorici del Carnevale, dalla pubblicità alle riviste e ai meme satirici, la popolazione di Fano è pronta ad accogliere un «giovane antico» che non è riuscita a salvare da una duplice tragedia: quella di un lontano e misterioso naufragio e quella, attuale, del commercio illegale di reperti, una piaga che malgrado i recenti provvedimenti internazionali non cessa di sconvolgere i contesti archeologici della regione mediterranea a profitto di una ristretta cerchia di criminali, arricchendo le collezioni private e depauperando le comunità della propria storia.
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