Europa

Bertaud (portavoce Ue): «Garantire l’asilo obbligo internazionale»

Bertaud (portavoce Ue): «Garantire l’asilo obbligo internazionale»

Intervista Natasha Bertaud, portavoce Commissione Ue all’immigrazione

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 29 gennaio 2016

Nelle ultime settimane il nome di Natasha Bertaud, portavoce della Commissione Europea all’immigrazione, è rimbalzato in tutta Europa per la bufera nata intorno al ripristino dei controlli alle frontiere e per le misure che Bruxelles sta immaginando per il rimpatrio dei migranti.

Dopo la decisione assunta del governo austriaco di avvalersi della raccomandazione prevista dall’articolo 26 del Codice di Schengen (che prevede il prolungamento della reintroduzione dei controlli alle frontiere inizialmente ammessi per un massimo di 6 mesi, ndr) e lo scandalo per la «sospensione» delle libertà di circolazione, ieri un coro unanime di sdegno ha attraversato l’Europa per gli 80mila rimpatri decisi dal governo svedese.

«È una questione di credibilità», ha dichiarato Bertaud alla stampa, convinta che rimpatriare migranti illegali sia una condizione necessaria per l’accoglienza di chi ha titolo alla protezione internazionale. «Non vogliamo dare l’impressione che l’Europa sia una porta aperta», ha detto con estrema sintesi. «Le persone che non hanno diritto a restare in Ue devono essere rimpatriate». A partire da queste premesse, il manifesto l’ha intervistata per fare il punto non solo sul tema dell’accoglienza, ma sull’attività dell’Unione europea rispetto al fenomeno migratorio.

E sulle sue profonde contraddizioni.

 

Natasha Bertaud
Natasha Bertaud

 

La decisione di sette stati europei di ripristinare i controlli alle frontiere è stata letta da molti come una «sospensione» temporanea del trattato di Schengen. Il trattato considera effettivamente la possibilità di sospendere la libertà di movimento dentro i confini dell’Unione europea?
Una sospensione di Schengen non è mai stata messa sul tavolo delle discussioni, poiché non c’è una possibilità simile proprio in base alle norme comunitarie. Ciò di cui stiamo parlando è di sfruttare le possibilità già esistenti nel Codice Frontiere Schengen (Cfs). Gli articoli 19s e 26 del Cfs prevedono delle apposite procedure per affrontare gravi e persistenti inadeguatezze alla frontiera esterna, che potrebbero portare a una temporanea reintroduzione dei controlli alla frontiera nei confini interni, laddove circostanze eccezionali mettano a rischio il funzionamento complessivo dell’area. Come ha sottolineato il presidente Juncker qualche mese fa: «Salveremo Schengen applicando Schengen».

Quali sono i principi che indirizzano l’azione dell’Unione europea sul tema accoglienza? Stanno subendo un’evoluzione a causa della crisi attuale e le nuove sfide che essa pone?
Diciamo che l’asilo è un diritto fondamentale, e a quello ci ispiriamo. Garantirlo è un obbligo internazionale, riconosciuto in primo luogo nel 1951 dalla Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati. Nell’Unione europea, questi principi internazionali sono stati tradotti nelle leggi europee che garantiscono, da parte di tutti gli stati membri, il riconoscimento e la concessione del diritto d’asilo a tutti coloro che necessitano di protezione internazionale.

Ma potrebbero necessitare di protezione internazionale anche le centinaia di migranti costretti ad una massiva immigrazione «irregolare», dovuta ad un perenne teatro di guerra.
Uno dei pilastri dell’Agenda Europea sulle Migrazioni, che la Commissione Europea ha presentato nel maggio 2015, è l’obiettivo di ridurre gli incentivi all’emigrazione irregolare.

Nell’area mediterranea, la mobilità umana è strettamente legata alle dinamiche inerenti le popolazioni alle frontiere (tassi di natalità, disoccupazione, esodo rurale dei giovani), il fallimento dei modelli di sviluppo rurale, il cambiamento climatico e i suoi effetti sull’accesso alle risorse e alla sicurezza alimentare. Quale ruolo sta giocando l’Unione europea in questo contesto?
L’Unione Europea continua a essere il più grande donatore mondiale negli aiuti umanitari ai rifugiati siriani ed ha inoltre rafforzato sensibilmente la cooperazione con gli Stati africani per combattere le cause della emigrazione forzata, in particolare con il lancio di un «Fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e il contrasto delle cause dell’emigrazione irregolare e degli sfollati in Africa», nel novembre 2015. Tale fondo consta di 1,8 miliardi di euro, provenienti dal budget dell’Unione europea a dal Fondo Europeo di Sviluppo, insieme a ulteriori contributi degli stati membri Ue e di altri donatori.

Molte associazioni diritto-umanitarie e molte Ong hanno denunciato le violenze perpetrate ai danni di migranti durante le operazioni di rimpatrio, nonché negli «hotspot» e nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Ne ha mai avuto notizia? Alcune di queste strutture, in Italia, versano in pessime condizioni igienico-sanitarie e proprio per questo si sono recentemente verificate rivolte all’interno dei centri, poi represse nel sangue. Come è possibile che nel 2016 la dignità umana sia una fattispecie relegata a questione d’ordine pubblico?
In tutta l’Unione europea, le leggi europee stabiliscono alti standard comuni per assicurare che i richiedenti asilo vengano trattati allo stesso modo in un sistema aperto ed equo – ovunque esse si applichino – dalla Direttiva sulle Condizioni di Accoglienza, che assicura che ci siano le condizioni di accoglienza umane materiali (come l’alloggio) per i richiedenti asilo nell’UE, e che i diritti umani fondamentali di queste persone vengano pienamente rispettati. Viene inoltre assicurato che i richiedenti asilo siano trattati in base alla Direttiva sul Rimpatrio che stabilisce norme e procedure comuni per il rimpatrio di cittadini extra-comunitari che soggiornano irregolarmente in Europa, in linea con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. Insieme essi formano il Sistema Comune Europeo di Asilo (Ceas).

Certo, il quadro normativo è chiaro; ma sono le degenerazioni, per usare un eufemismo, che destano maggiori perplessità.
La Commissione, come custode dei trattati, ha la responsabilità di assicurare che le leggi nazionali ottemperino alle leggi dell’Unione europea. Ma sono gli Stati Membri, e i loro rispettivi sistemi di giustizia, ad essere responsabili del fatto che sia garantita l’applicazione di queste leggi nella pratica e nella realtà di tutti i giorni.

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