Negli anni Ottanta cantava: «È la fine del mondo come lo conosciamo, ma mi sento bene», oggi presenta una mostra dal titolo «Ho perso e mi sono perso, ma ora volo alto». Michael Stipe ha concluso la carriera con i R.E.M. da più di un decennio, è cresciuto e invecchiato come i suoi fan, ma sembra ancora ricordarci che c’è sempre spazio per il riscatto, per la gioia e per «sentirsi bene». E che l’arte, in qualsiasi forma, ci guida sulla strada giusta. «Sono una persona ottimista e piena di speranza, anche se so che questi sono periodi difficili e che gli anni passati ci hanno lasciati più vulnerabili e stanchi», esordisce così Stipe, presentando a Milano la sua prima mostra personale. Con lo scioglimento dei R.E.M., per lui è iniziata una seconda vita artistica, fatta di fotografia, di sperimentazioni nel campo della web-art e solo di poche e sporadiche apparizioni musicali. A Milano inaugura appunto «I Have Lost and Been Lost but for Now I’m Flying High» che sarà visitabile (fino al 16 marzo 2024) presso l’ex area industriale di via Orobia 26, dove ha sede la Fondazione ICA – Istituto Contemporaneo per le Arti, un’istituzione privata non profit dedicata alle arti e alla cultura contemporanea, la prima realtà di questo tipo a nascere al di fuori del mondo anglosassone.

UNA MAPPA

L’esposizione è curata dal fondatore e dal direttore di ICA, Alberto Salvadori, già curatore della sezione Decades al MIART e Direttore dell’Osservatorio per le Arti Contemporanee di Firenze. Si tratta di 120 opere, tra cui alcune mai esposte prima e altre nate per l’occasione e che coprono tutti gli ambiti della ricerca artistica di Stipe: fotografia, scultura, ceramica, arte povera, installazioni multimediali. Non è una monografica, né un’antologica, ma un percorso che ha come filo conduttore, come fa intuire il titolo, il tema della vulnerabilità e della fragilità. Se gli anni del Covid ci hanno messo a confronto con la paura e hanno rivelato la debolezza delle nostre comunità, l’artista vuole partire da questo per cercare qualcosa di più elevato e descrive così il suo lavoro: «La vulnerabilità diventa un superpotere. Una mappa che descrive le difficoltà del nostro presente mettendo in luce nuove opportunità e una rinnovata comprensione della nostra importanza. In questo momento scelgo di concentrarmi sul bene più prezioso, sulla brillantezza, sulla bellezza e sulla giocosità della vita».

La scelta di Milano è nata sì dall’occasione della collaborazione con ICA, ma per Stipe è anche il coronamento di una relazione di grande affinità con l’Italia e il pubblico italiano: «L’Italia non è solo un paese in cui vengo in vacanza. Sono molto grato del fatto che qui c’è sempre stato un forte legame tra la mia carriera come musicista e il pubblico. È anche il luogo dove la gente risponde in modo emotivo e spontaneo all’arte, è quindi difficile pensare a un posto migliore dove poter affrontare questo dialogo che parte dai miei sogni oltre la musica».

IL QUARTO LIBRO

L’evento si accompagna all’uscita del quarto libro fotografico dell’artista pubblicato dall’editore bolognese Damiani, Even the Birds Gave Pause. Il volume, che ci presenta in copertina un’immagine dell’autore con una fluente barba da profeta biblico, è una collezione di ritratti che sono esposti alla mostra milanese. La storia dei R.E.M. ci ricorda quanto la band fosse innovativa anche nel campo dell’immagine, con copertine suggestive e spesso da decifrare come quella dell’album di esordio Murmur, che rappresentava una minacciosa erba infestante, o la quasi ipnotica sovrapposizione di immagini di Document. Così accadeva anche per i video, come il memorabile Imitation of Life in cui una breve, singola sequenza veniva scomposta in una serie di storie che acquisivano una vita a sé stante e un proprio universo narrativo. «Sono appassionato di fotografia da quando avevo 14 anni – dice Stipe – e sin da ragazzo ammiro i lavori di un fotografo come Joel Meyerowitz (uno dei pionieri della street photography, ndr). I ritratti che sono esposti, e che sono anche quelli raccolti nel volume, cercano di cogliere quel momento unico che si crea tra il fotografo e il suo soggetto. Alcune persone ritratte sono miei amici, altri no. Alcuni sono stati scattati durante il periodo del Covid. Per ognuno ho cercato di capire che cosa sia il ritratto nella nostra epoca, quella in cui chiunque ha un telefono con cui scatta fotografie continuamente. Il digitale ha cambiato tutto e io cerco di esplorare e comprendere questa nuova realtà».

Stipe ha ritratto in passato alcuni dei suoi miti come Freddie Mercury, i Ramones, l’ex Television Tom Verlaine e Patti Smith. Proprio con il compianto Tom Verlaine e con l’amica e musa Patti Smith inaugurò nel 1996, a Milano, una mostra di un altro maestro della macchina fotografica, Robert Mapplethorpe; prosegue: «Il mio lavoro è molto diverso dal suo ma per me è una grande ispirazione. Da uomo queer riconosco il coraggio di quello che ha fatto in un’epoca in cui non era facile affrontare certi temi».

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FIGURE-GUIDA

Il percorso espositivo è però segnato da diverse figure-guida. L’ex leader dei R.E.M. cita l’artista concettuale americano Bruce Nauman, la protagonista dell’arte povera italiana Marisa Merz e lo scultore romeno Constantin Brancusi: «Per me Brancusi è uno dei grandi artisti del XX secolo per il suo modo di riadattare alla contemporaneità la tradizione artistica». E ancora: «Questa mostra è anche collaborativa. Un lavoro compiuto con molti materiali e coordinando diversi collaboratori in posti lontani tra loro. Le opere sono nate a New York, Los Angeles e Athens, e in Europa, a Berlino e in Italia. Un lavoro che ha richiesto tempo, energie, ma che mi ha reso felice. Amo l’arte e amo quello che mi offre, allo stesso modo in cui ho amato e amo la musica».

Tuttavia in questo percorso la musica è assente, ma la scelta è decisamente voluta. Spiega l’artista: «Non c’è musica, ma c’è la mia voce che recita la poesia Desiderata di Max Ehrman. Fu scritta negli anni ’20, ma divenne un punto di riferimento della cultura hippie. Rappresenta un’utopia, una visione positiva e ottimista del futuro. Poi è quasi scomparsa dalla memoria collettiva per ricomparire verso la fine degli anni ’90 come messaggio motivazionale sfruttato dalla cultura aziendale e delle corporation. Un utilizzo volgare e francamente disgustoso. Per me invece ha avuto un profondo significato sin da quando ero teenager e sento che sono versi importanti, particolarmente per i periodi difficili che stiamo vivendo a livello globale. Abbiamo bisogno della poesia, abbiamo bisogno dell’arte, di artisti che ci indicano come andare avanti». Se fosse ancora insieme ai R.E.M. oggi Stipe sarebbe headliner nei maggiori festival internazionali, ma decise, di comune accordo con gli altri membri del gruppo, di interrompere un percorso artistico che tutti ritenevano concluso. Hanno lavorato alla riedizione del loro catalogo, ma hanno sempre categoricamente escluso una reunion. Mike Mills e Peter Buck quest’anno si sono rivisti come membri dei Baseball Project con Steve Wynn. Per Michael Stipe la musica non è un capitolo chiuso. Un nuovo album è in cantiere da anni e, dice, sarà pronto, «hopefully», nel 2024. Per lui è finita l’epoca in cui era l’industria dell’intrattenimento a dettare i tempi e i modi del suo lavoro. La sua missione ora è un’altra. «Musica e arte – conclude – mi hanno sempre fornito un percorso emozionale che mi permette di capire il momento che sto vivendo e mi trasportano in un posto migliore».