Francesco Paolino è siciliano, suona la chitarra e la mandola, scrive i pezzi del gruppo, attingendo a una memoria musicale policroma. Stefania Megale è torinese e suona il sax soprano. Giuseppe detto «Pippi» Dimonte è impegnato al grande legno, il contrabbasso, e arriva dalla Lucania, Alberto Mammollino, pugliese suona (e costruisce) le tammorre, i «tamburi a cornice» di diverse dimensioni che sono diffusi ovunque nel Mediterraneo, ma anche in terre sciamaniche del Nord e nell’Inghilterra gaelica. Tutti assieme i quattro sono le Lame da Barba, richiamo diretto a una preziosa cultura dell’alfabetizzazione musicale che, nel nostro Sud, aveva luoghi d’elezione nei negozi di barberia, dove si imparavano i rudimenti del pentagramma, dove si adattavano per fiati, percussioni e legni le romanze che si ascoltavano sui settantotto giri o al teatro d’opera. Un ensemble che s’è fatto letteralmente le ossa suonando per strada, nella città dove si sono trovati, e dove si sono messi alla prova senza rete e senza filtri: Bologna.

La redazione consiglia:
Nu Genea e la Babele musicaleCON UNO STRUMENTARIO così è inevitabile andare a ripercorrere i passi accaldati e frementi di quelle splendide culture musicali «di risulta» che da almeno un quarantennio sono tornate a rimbalzare sulle sponde di quel mare che, per usare le parole di Erri De Luca, «È grande, ma tenuto nel grembo delle terre», dove si affacciano, incontrano e scontrano tante civiltà diverse. Checché ne pensino i puristi, come diceva l’antropologo Jean Loup Amselle, la mediazione è sempre «la via più breve per l’autenticità». Anche e soprattutto in musica. Da quella per la strada ai dischi, nati in regime di autoproduzione. Poi per le Lame da Barba sono cominciati ad arrivare gli inviti per i teatri e le rassegne, e ora esce un terzo, decisivo disco. Si intitola Qafiz ed è l’antica unità di misura araba per misurare il volume dell’olio. Raccontano loro nelle note: «Il linguaggio e la musica, di pari passo, vivono le loro molteplici trasformazioni, ed è da qui che nasce questo nuovo album in cui si potranno ascoltare il Mediterraneo, l’Africa e Medio Oriente. Cercando di fondere tante identità che ci appartengono come un dono prezioso».
Trentacinque minuti stringenti di sole a picco come i «demoni meridiani», e d’ombra scura dove passano frusciando i fantasmi notturni di antiche civiltà. Danza di corde, pelli e fiati. Per restare umani. E globalmente mediterranei.