Della Biennale si è parlato fino a ieri della nomina politica di chi la dirigerà dal prossimo marzo, Pierangelo Buttafuoco. Da stamattina potremo raccontare un problema ancora più dirimente che interessa le condizioni in cui lavorano i precari soprattutto negli eventi collaterali, e nei padiglioni nazionali, dell’istituzione globale di Venezia. Lo faranno i lavoratori e le lavoratrici dell’arte e della cultura che, da giugno, stanno animando il percorso che hanno chiamato «Biennalocene».

NATA SU IMPULSO del Sale Docks (uno spazio indipendente per le arti contemporanee fondato 2007 a Venezia) dell’Institute of Radical Imagination (Iri – una rete internazionale di artisti e curatori), da «Mi riconosci?» (un movimento per i diritti dei lavoratori culturali) e dal sindacato di base Adl Cobas, Biennalocene si troverà stamattina alle nove davanti ai cancelli dei Giardini della Biennale Architettura e chiederà ai vertici dell’istituzione di adottare i 24 articoli della «Carta Metropolitana del lavoro culturale».

IL DOCUMENTO, consultabile sul sito biennalocene.com, assomiglia a una di quelle carte dei diritti da cui è nato anche il movimento operaio. Se adottato, la Biennale potrebbe diventare il primo esempio virtuoso nella cosiddetta «economia degli eventi» che fa rispettare i contratti collettivi corretti entro i quali includere chi lavora negli appalti e nei subappalti (Federculture, in questo caso); il salario minimo a 10 euro in un paese in cui il governo ne ha relativizzato la necessità; la riduzione del ricorso alle esternalizzazioni, la fine dell’uso delle false partite Iva che mascherano il lavoro dipendente; stage retribuiti e formativi; il controllo sulla sicurezza del lavoro; la lotta al sessismo, al razzismo e all’abilismo.

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ALLA BIENNALE, la carta chiede di verificare se i diritti dei lavoratori sono rispettati negli «eventi collaterali» e nei padiglioni nazionali, soprattutto in quelli che dipendono dai governi o dalle agenzie alle quali questi ultimi si affidano per realizzare i loro «eventi». «Spesso si usano contratti di lavoro stranieri che possono anche essere ben retribuiti, ma non permettono l’accesso alla disoccupazione (la Naspi) – osserva Marco Baravalle, ricercatore e curatore del Sale Docks e dell’Iri – La Biennale potrebbe chiedere, e vigilare, che i padiglioni adottino il contratto Federculture o quello del commercio con l’indicazione di non scendere sotto i 10 euro di paga oraria».

SAREBBE UNA SVOLTA politicamente e culturalmente rilevantissima rispetto alla normalità tossica in cui si svolgono eventi culturali tanto più grandi, quanto più è sfruttata una moltitudine di lavoratori invisibilizzata e rimossa. Oltre che per tutte le istituzioni culturali veneziane, il modello potrebbe essere adottato per le olimpiadi invernali che si svolgeranno nel 2026 tra Milano e Cortina, oppure all’Expo se Roma si aggiudicherà la kermesse del 2030.

«BIENNALOCENE» è un prototipo per l’auto-organizzazione dei precari che vivono di solito come le falene. Quando si accende la luce – cioè il «grande evento» e la sua grande macchina – accorrono per lavorare. Quando la luce si spegne – e scadono i contratti – si disperdono nel buio. In questo caso il processo è stato diverso. «L’anno scorso ai curatori del padiglione tedesco della Biennale Architettura abbiamo proposto un’inchiesta performativa sul mondo dell’arte e del lavoro a Venezia – racconta Marco Baravalle, ricercatore e curatore, attivista di Sale Docks e Iri – Abbiamo realizzato un’inchiesta con i lavoratori. E dai suoi contenuti abbiamo tratto una drammaturgia che abbiamo messo in scena in un’assemblea-spettacolo nel maggio scorso alle Casette, un quartiere della Giudecca ad alta intensità abitativa. Da qui è nato il percorso che ha portato a conoscere le condizioni di lavoro. È emerso un quadro desolante – racconta Federica Arcoraci di «Mi Riconosci?» – retribuzioni orarie intorno ai 5-6 euro lordi inquadrati in contratti come il Multiservizi, gare d’appalto al massimo ribasso, ritmi di lavoro incessanti e abusi». È la storia «di un settore per altro a bassissima sindacalizzazione – sostiene Sergio Zulian (Adl Cobas) – che fatica ad organizzarsi per la parcellizzazione e stagionalità».

«DA UN’INCHIESTA corale di 200 persone è nata un’azione collettiva – riflette Baravalle – si parte dalla conoscenza, si prende parola, ci si auto-organizza. Senza contare il fatto che un lavoro culturale dignitoso permetterebbe a centinaia di giovani di abitare a Venezia, una città che perde residenti e i turisti aumentano». E, chiediamo, se la Carta non sarà accettata? «Torneremo davanti ai cancelli, siamo pronti a lanciare uno sciopero degli eventi collaterali del prossimo anno – risponde Baravalle – È un’operazione reputazionale: chi non l’adotterà sarà segnalato mentre sarà comunicato l’esempio virtuoso di chi lo farà».