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Hamid Drake: «La musica di Alice Coltrane, un viaggio nella natura umana»Saranno i pantaloni rosso fuoco luccicanti e il bolerino oro su una silhouette da teenager, e i modi sbarazzini, ma Lakecia Benjamin dimostra decisamente meno anni di quelli che effettivamente ha. Cresciuta a Manhattan in un’area abitata prevalentemente da latini, ha iniziato col sax da bambina, ha mosso i primi passi nella salsa e nel merengue, ha avuto come mentore Gary Bartz, poi insegnanti come Billy Harper e Joe Chambers, il primo ingaggio con Clark Terry, quindi un vagone di collaborazioni, tanto jazz ma anche Kool & the Gang, Macy Gray, Stevie Wonder; nel 2012 il suo primo album personale. Tre anni fa il terzo, Pursuance, dedicato a John e Alice Coltrane: perfetto e stimolante dunque, nella serata di sabato al Donizetti, l’accostamento che Bergamo Jazz ha istituito fra due generazioni, Lakecia Benjamin nella prima parte e nella seconda Hamid Drake con Turiya, la celebrazione di Alice Coltrane che il batterista ebbe modo di conoscere nei primi anni settanta (lo abbiamo intervistato su queste colonne il 17 marzo).

LAKECIA BENJAMIN attacca subito in maniera irruente: con eccellenti accompagnatori (Zaccai Curtis, piano, Ivan Taylor, contrabbasso, E.J. Strickland, batteria), l’impronta della musica è inconfondibilmente coltraniana – il brano si intitola appunto Trane – ma non il suono del suo sax alto, aspro, tagliente, tipicamente funky. Allegra, disinvolta, dal primo momento ha il pubblico in pugno: nessuna soggezione ad avere davanti un teatro italiano di tradizione esaurito in ogni ordine di posti. Rappa con uguale disinvoltura, poi ci sono le inflessioni mediorientali di Amerikkan Skin, in cui, in apertura del suo nuovo album Phoenix (prodotto dalla batterista Terry Lyne Carrington), si ascolta la voce di Angela Davis; quindi il gospel di Amazing Grace, e il divertente vitalismo di Jubilation.L’impronta della musica è inconfondibilmente coltraniana – il brano si intitola appunto Trane – ma non il suono del suo sax alto, aspro, tagliente, tipicamente funky.

SUONA FORTE anche come volume, e le improvvisazioni sono muscolari: la foga, lo slancio, l’approccio free, si sente che non sono una posa, c’è slancio reale, c’è sostanza, e l’energia è contagiosa. Chiude con My Favourite Things, dedicato a John Coltrane, Alice Coltrane e Wayne Shorter, del quale si ascolta la voce in uno dei brani di Phoenix. Volendo fare un confronto, anche un sassofonista come Isaiah Collier pesca nello stesso ambito – Coltrane, il free jazz – ma è come se Collier volesse riesumare il passato tale e quale era: Lakecia Benjamin lo declina invece in una chiave molto più giovanile e attuale.
Ci riporta al jazz come musica non addomesticata, carica di pulsioni, piena di una visione positiva: la cosa più importante che recupera dal passato – e così rara nel jazz di oggi – è proprio una entusiasmante dimensione del futuro.