Visioni

Hamid Drake: «La musica di Alice Coltrane, un viaggio nella natura umana»

Hamid Drake: «La musica di Alice Coltrane, un viaggio nella natura umana»Hamid Drake al Jazzforum di Budapest, 2011 – foto Ansa

Interviste Il batterista americano celebra la grande pianista, il 25 marzo a Bergamo jazz con il progetto «Turiya». Sul palco anche Shabaka Hutchings, figura di culto della scena britannica

Pubblicato più di un anno faEdizione del 17 marzo 2023

«In effetti non considero Turiya un ’progetto’, ma una celebrazione», tiene subito a precisare Hamid Drake; a differenza di tanti tributi a protagonisti del jazz, in Turiya c’è un coinvolgimento di natura molto personale: «un tributo è una cosa che fai e una volta fatto è finita lì: mentre invece desidero onorare Alice Coltrane come ispirazione che continua quotidianamente a nutrire la mia vita e la mia musica». Hamid Drake è considerato uno dei più grandi batteristi del jazz contemporaneo: della sua carriera, iniziata nei settanta, basti ricordare la lunga collaborazione con Don Cherry, e l’intenso sodalizio con il contrabbassista William Parker, catalizzatore dell’avanguardia nera a New York. Presentata lo scorso anno in diversi importanti festival europei, a cominciare da Parigi, sabato 25 marzo Turiya arriva finalmente anche in Italia, a Bergamo Jazz: al sax in Turiya sarà per la prima volta Shabaka Hutchings, ormai figura di culto della scena britannica. Nata a Detroit nel ’37, Alice McLeod nel ’65 sposa John Coltrane: lo influenza sul piano della ricerca spirituale e nel ’66 sostituisce McCoy Tyner al pianoforte nei gruppi del marito. Dopo la morte nel ’67 di Trane, Alice comincia a realizzare album propri, via via sviluppando una originale dimensione musicale che riflette i suoi interessi spirituali. Fino poi a fare musica solo in funzione del centro vedantico di cui diventa direttrice.
Quello che ha fatto con John è straordinario, ma lei era grande già prima di conoscerlo. Lei ha rappresentato tante cose, è diventata una leader spirituale

«Quello che lei e Coltrane hanno prodotto è magnifico, ma la sua creatività – sottolinea Drake – è andata molto al di là, ed è molto importante sapere che questa creatività c’era già prima: era una grande pianista, a Detroit, faceva tournée, e ha partecipato all’incisione di album quando ancora non aveva incontrato Coltrane. Lei ha rappresentato tante cose: è stata una grande musicista, una afroamericana diventata una leader spirituale – una swamini – in una tradizione arrivata dall’India, ha sostenuto la presenza femminile nella musica, nella quale ha veramente portato il Femminile Divino. Quindi cerco di onorare Alice Coltrane a molti livelli».

Come sei arrivato alla sua musica?

È stato solo in un secondo tempo che ho ascoltato la musica che aveva fatto con Coltrane, prima ho ascoltato proprio la sua musica, Journey in Satchidananda (pubblicato dalla Impulse! nel ’71, ndr), e altri album, e poi sono andato indietro. Quando ero molto giovane, il brano da cui Journey in Satchidananda ha preso il titolo ha avuto un effetto molto forte su di me, perché studiavo anche musica indiana, e cultura yoga, nella quale la parola satchidananda è molto importante, perché si riferisce alla beatitudine della nostra vera natura: e mi affascinava l’idea di una composizione che si intitolava così, cioè viaggio dentro la nostra vera natura.

Eri molto giovane anche quando hai avuto occasione di incontrarla…

Avevo sedici anni, era in concerto al Ravinia Park, fuori Chicago, in trio con Charlie Haden al basso e Ben Riley alla batteria. Dopo l’esibizione l’ho raggiunta e mi sono presentato: non avevo ancora preso il nome Hamid, ero Hank Drake. All’epoca ero molto coinvolto in un movimento spirituale chiamato Fede bahá’i, e le regalai due libri del fondatore, Bahá’u’lláh. Lei mi diede retta, mi lasciò il tempo di parlarle, benché fossi solo un ragazzo completamente infatuato non solo della sua musica ma di tutto il suo modo di essere, e anche lei mi regalò un libro, che mi autografò. Ci scambiammo gli indirizzi e ci scrivemmo un paio di lettere. Quando uscì il suo album Universal Consciousness (registrato nella primavera del ’71, ndr), vidi che nella copertina c’era una citazione di Bahá’u’lláh da uno dei libri che le avevo dato.

Ma per te quell’incontro è stato molto più di questo.

Alice Coltrane, foto Wikipedia

È stato anche la fortissima vibrazione che ho sentito promanare da lei, e ha rappresentato un po’ una iniziazione ad accettare me stesso. Ho avvertito come una infusione di spirito, come quel ricevere una forte carica di energia di cui si parla nella tradizione yoga. E l’energia che ho ricevuto da lei mi diceva che il cammino della musica era un buon cammino, e di continuare su quella strada.

Questa celebrazione di Alice Coltrane come è nata?

Ho sempre avuto il desiderio di fare qualcosa che la onorasse, e ho anche avuto occasione di suonare in un paio di gruppi che facevano un po’ della sua musica. Ho riflettuto su quali potessero essere i musicisti più adatti con Ludmilla Faccenda, che condivide la mia passione per Alice Coltrane. Ovviamente io alla batteria (ride), poi Pasquale Mirra, vibrafono, Jan Bang, elettronica, Jamie Saft, piano e tastiere, e Joshua Abrams, contrabbasso e guembri; in alcuni concerti il sassofonista è stato Thomas de Pourquery, ma a Bergamo ci sarà Shabaka; e volevamo qualcuno che portasse la danza, la spoken word e la poesia, e potesse rappresentare Alice Coltrane: Ndoho Ange, danzatrice e performer della Guadalupa che vive a Parigi. Turiya è uno dei nomi di Alice Coltrane, nella filosofia induista indica il quarto livello della coscienza.

A proposito di Alice Coltrane ti piace citare un’affermazione di Harry Belafonte…

Una volta disse che «gli artisti hanno il potenziale per essere i custodi della verità»: certamente Alice Coltrane rappresentava questo.

Chi ti sembra che oggi riesca a farlo?

Per esempio William Parker, con il grande lavoro che fa, e con il suo modo di essere e la sua personalità.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento