Laboratorio Roma
Strano esordio quello del premier Renzi, che, dal patetico insediamento a Presidente del Consiglio, non perde occasione per rimarcare il legame che vuole mantenere con i territori, rivendicando il modello […]
Strano esordio quello del premier Renzi, che, dal patetico insediamento a Presidente del Consiglio, non perde occasione per rimarcare il legame che vuole mantenere con i territori, rivendicando il modello […]
Strano esordio quello del premier Renzi, che, dal patetico insediamento a Presidente del Consiglio, non perde occasione per rimarcare il legame che vuole mantenere con i territori, rivendicando il modello del «sindaco d’Italia».
Strano esordio perché il primo atto significativo del suo governo è stato il ritiro del decreto «Salva Roma», mettendo così a rischio l’approvazione del bilancio di Roma Capitale e facendola pericolosamente avvicinare al totale default.
Attribuire tutto questo alle forze di opposizione, che, in quanto tali, non hanno i numeri per far saltare alcunché, appare decisamente poco credibile; e forse le ragioni di quanto sta succedendo andrebbero ricercate nel riassetto degli equilibri interni alle diverse elite politico-finanziarie, che, a diversi livelli, hanno contribuito al raggiungimento della poltrona più ambita (per ora) da parte del ragazzo che non ha l’età.
In realtà, la partita che si sta giocando sui destini di Roma Capitale costituisce un interessantissimo laboratorio del conflitto che, nei prossimi mesi, vedrà gli enti locali al centro dello scontro.
Sapientemente spogliati nell’arco degli ultimi quindici anni da un combinato disposto di misure formato dal patto di stabilità interno, dalla drastica riduzione dei trasferimenti erariali, da vecchi tagli e più moderne spending review, fino alla costituzionalizzazione del pareggio d bilancio, gli enti locali sono ora cotti a puntino per divenire i più efficienti esecutori delle politiche liberiste, rese «inevitabili» dalla trappola del debito pubblico e dall’aver assunto come priorità indiscutibili i vincoli monetaristi imposti dall’Unione Europea.
Gli enti locali sono al centro del conflitto, in quanto ancora detentori di una quantità di beni – territorio, patrimonio immobiliare e servizi pubblici- valutabili attorno ai 570 miliardi (stime Deutsche Bank del 2011) ed entrati da tempo nel mirino dei grandi capitali finanziari, alla disperata ricerca di asset sui quali investire l’enorme massa di ricchezza privata prodotta dalle speculazioni finanziarie dell’ultimo decennio.
Non è certo un caso la trasformazione, in atto negli ultimi anni, di Cassa Depositi e Prestiti da ente per il sostegno a tassi agevolati degli investimenti degli enti locali a SpA mista pubblico-privata che si pone come partner finanziario per il sostegno alle grandi opere, per la «valorizzazione» del patrimonio degli enti locali, per l’aggregazione in grandi multiutility della gestione dei servizi pubblici locali.
Se questa è la partita, appare a dir poco insufficiente l’indignazione del sindaco Marino con relative minacce di dimissioni. Ciò che sta per essere progressivamente dismessa è la funzione pubblica e sociale dell’ente locale in quanto tale, per trasformarne il ruolo da erogatore e garante dei servizi per la collettività a facilitatore dell’espansione degli interessi finanziari e speculativi su ogni settore delle comunità territoriali.
Una soluzione immediata per evitare oggi il default di Roma Capitale verrà sicuramente trovata e avrà, in piena sintonia con il decreto «Salva Roma» appena ritirato, le medesime caratteristiche di dare un po’ di respiro nel breve per rendere più stringente la catena del ricatto nel medio periodo.
L’idea del sindaco e della giunta capitolina di poter governare la città non mettendo in discussione alcuno dei vincoli strutturali che ne imprigionano la possibilità di azione è destinata in breve tempo a rivelarsi per quello che è: nient’altro che una pura illusione oggi, destinata a divenire complicità domani.
Per questo, una soluzione vera al conflitto in corso fra Governo e Roma Capitale non può venire dalle dinamiche istituzionali, bensì solo ed unicamente da una mobilitazione sociale ampia contro la trappola del debito e per un’indagine popolare e indipendente sullo stesso, contro il patto di stabilità e per la fuoriuscita immediata dallo stesso di ogni investimento relativo alla riappropriazione dei beni comuni e alla realizzazione del welfare locale, contro le privatizzazioni e per una gestione partecipativa dei servizi pubblici locali, contro gli interessi finanziari e per una nuova finanza pubblica e sociale.
Si tratta semplicemente di riappropriarsi della democrazia.
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