Sono una decina i Laboratori di arte della comunità di sant’Egidio a Roma, sparsi nei vari quartieri della città, e a Roma sono circa ottocento le persone con disabilità che praticano, sperimentano e vivono, oltre la soglia del quotidiano, la loro intimità artistica.
La mostra, appena inauguratasi, negli spazi del nuovo Rettorato di Roma Tre in occasione dei trent’anni dell’ateneo, è una testimonianza solo parziale per la sua potente bellezza, fonte di storie personali dolorose, segnate da fragilità, discriminazione e povertà. L’idea di Inclusione e Dis/Integration sta all’origine di questa voglia di «fare arte» da parte di persone con disabilità di cui la comunità di sant’Egidio si sta prendendo cura da trentasette anni.

Opera di Michele Colasanti

QUI IL CONCETTO inclusione e integrazione va nettamente oltre l’aspetto sociale e assistenziale. Questi autori hanno spalancato le porte del mondo dell’arte, sono diventati abitanti di un pianeta dove regna libertà e respiro, ascolto e silenzio insieme alle proprie intuizioni creative. Quale luogo più adatto per mettere alla prova il proprio talento? Parliamo di laboratori dove si crea da anni un’arte che significa anche una metafora dell’ordine e del disordine del mondo, e dove involontariamente vengono messi in discussione tradizionali codici estetici e figurativi.

La storia dell’arte più recente è piena di riferimenti a una rivoluzione culturale operata da autodidatti, emarginati, digiuni di «regole» artistiche e impermeabili rispetto alle norme e ai valori collettivi dominanti. Come ad esempio Dubuffet, che coniò per questo tipo di opere la definizione Art Brut (in inglese Outsider Art), cioè un linguaggio nuovo, inventivo e dissidente. Fin dal 1945 Dubuffet raccolse una collezione di opere di Art Brut che, dal 1976, è esposta in permanenza nel museo Collection Art Brut a Losanna, in Svizzera.

Nel suo discorso introduttivo alla mostra, il direttore generale dell’università Roma Tre Pasquale Basilica ha parlato di «un’occasione unica che permette di ascoltare un mondo che si rischia di ignorare», mentre il rettore Massimiliano Fiorucci ha sottolineato l’importanza del «tema della fragilità nostra e delle persone disabili», ricordando due artisti della comunità che avevano conseguito la laurea triennale presso quell’ateneo.

CÉSAR MENEGHETTI, artista visivo e cineasta italo-brasiliano che iniziò la sua collaborazione con i Laboratori in occasione della Biennale di Venezia nel 2013, ha presentato una nuova edizione della sua istallazione Videocabina che riguarda uno scambio di idee sull’attualità condotto con alcuni artisti affetti da disabilità presenti in occasione di questa mostra. Tra le tante opere esposte, va sottolineata l’eccezionale qualità dei disegni su carta e su tela di Michele Colasanti, intitolati Diversità / Omologazione / Finiremo come l’isola di Pasqua? Colasanti indaga con ironia tratteggiando straordinariamente figure in stile seriale, che rappresentano l’umanità di oggi. Una specie di «castello del disegno» come mondo separato, a sé.
Marianna Caprioletti ama prevalentemente Picasso e Goya. A quest’ultimo ha dedicato una serie di disegni ispirati dall’opera intitolata I disastri della guerra. Marianna non conosce la parola ma disegna liberamente, con trasgressività e anche una solida maturità formale.

Di Patrizia Nasini, appassionata pittrice che non esita a mischiare i colori saltando con leggerezza qualsiasi regola, vediamo un sorprendente dipinto formato miniatura. È un’opera ispirata da un dipinto astratto/figurativo di Sandro Chia, trasformato dall’autrice in un piccolo capolavoro di pittura pura.

Se oggi il pubblico ha la fortuna di guardare le opere di questa mostra, lo si deve all’eccezionale realtà di questi Laboratori di arte. Vi regna un clima di affetto, accettazione e amicizia. Un clima dove si fa e si crea, si canta e si ride, dandosi riconoscimento reciproco. La mostra sarà visitabile fino al prossimo 16 dicembre, dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 20.