Cultura

La «vita interiore» e il suo statuto filosofico di presenza e potenza

La «vita interiore» e il suo statuto filosofico di presenza e potenzaEdward Hopper, «Stanza a New York» (1932)

SCAFFALE «Solitudine ed esistenza», di Pio Colonnello per Mimesis. Tra gli altri, i riferimenti sono a Dante, Borges, Dino Campana e Nietzsche. Particolare cura viene dedicata al pensiero di José Gaos e Horacio Cerutti Guldberg

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 aprile 2023

C’è davvero dentro il mondo un ‘anello che non tiene’ (Montale), la sensazione e più che sensazione che qualcosa manchi o che sia mal costruito, definito, vissuto. Come se assente tra le cose e fra gli eventi fosse un qualche fondamento al quale sempre aspiriamo, di cui sembra ci ricordiamo ma che manca e ci manca. Una «difettività» che in molte delle sue opere Pio Colonnello ha indagato e che in Solitudine ed esistenza. Sullo statuto della vita interiore (Mimesis, pp. 200, euro 12) perviene a sintesi attraverso due temi che il filosofo sa coniugare pur nella loro apparente lontananza.

Il primo è la solitudine, che non è solo o soprattutto una tonalità interiore, un sentimento della coscienza, della vita e della contingenza ma rappresenta il modo in cui gli esseri umani stanno al mondo, la «disposizione costitutiva e co-originaria dell’esistenza», la quale non a caso è stata nei secoli cantata, temuta, desiderata ed «evocata dalla voce dei poeti, oltre che lungamente esplorata dal pensiero filosofico».

EMBLEMATICA la sintesi a tutti nota che Salvatore Quasimodo ne diede: «Ognuno sta solo sul cuore della terra / trafitto da un raggio di sole». Colonnello indaga la presenza e la potenza della struttura solitaria della «vita interiore» in poeti come Dante Alighieri, Jorge Luis Borges, Dino Campana; in filosofi come Nietzsche, Croce, Heidegger, Piovani, Marcuse.
Per i quali, pur se in modi in ciascuno naturalmente diversi, la solitudine sembra scaturire appunto da una difettività originaria delle cose e la colpa che oscuramente percepiamo sembra generarsi dalla contingenza e precarietà dell’esistenza, sempre sottoposta al rischio della propria fine. Come se colpa e difetto consistessero anche nel «fatto stesso di non accettare l’instabilità dell’esistenza, l’incessante rottura, il continuo venir fuori dal proprio stare, la repentinità del cambiamento». Colpa e tempo inseparabili, insomma, come si sostiene in un recente volume (Colpa e tempo. Un esercizio di matematica esistenziale, Neri Pozza Editore) di un altro filosofo italiano, Eugenio Mazzarella.

A questa dimensione interiore e individuale, Colonnello ha il merito di coniugare il secondo elemento del libro, che consiste in una riflessione storica, sociale e collettiva così come emerge dalle analisi di molta filosofia latinoamericana. Un ambito non molto conosciuto in Europa e che quindi è merito dell’autore portare all’attenzione.
Particolare cura viene dedicata al pensiero del filosofo ispano-americano José Gaos ma anche a studiosi quali Horacio Cerutti Guldberg, Francisco Miró Quesada, Hugo Biagini, Rodolfo Kusch, Carlos Cullen, Enrique Dussel. Un elemento comune che caratterizza questi pensatori sta nel fatto che «la riflessione politica latinoamericana considera perversa ogni totalizzazione di un qualsiasi sistema politico, tesa a negare la possibilità di un’alterità insita nella stessa realtà comunitaria».

SI TRATTA DI UN INVITO alla differenza, alla critica, al limite insito in ogni progetto e vicenda politica ed esistenziale. Un invito prezioso e fecondo anche e soprattutto per il presente di un Occidente sempre più smarrito dentro la propria illusione di autosufficienza e onnipotenza.
Le analisi dedicate ai poeti e alla poesia raccolgono i due elementi centrali del libro – solitudine e comunità – anche mediante una riflessione sulle leggi che guidano le passioni umane sia individuali sia collettive. Sarà infatti più facile accettare il limite dell’esistenza e la parzialità di ogni progetto politico se ricordiamo, con il Borges di una conferenza tenuta nel 1977 a Buenos Aires, che «non esiste il caso, ciò che chiamiamo caso è la nostra ignoranza della complessa meccanica della causalità» e che, alla fine, «caso e necessità coincidono».
Convergenza che libera gli individui dall’ossessione di essere i padroni esclusivi della propria vita e affranca la storia dalla pretesa di dominio delle potenze e degli stati. Altre sono infatti le forze che guidano il mondo e che questo libro analizza con pacata chiarezza.

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