Club Dogo sono tornati, o forse non se ne sono mai andati? 10 anni dopo il loro nuovo disco, che porta lo stesso nome della band, si potrebbe collocare, senza stonature, tra i sette album usciti tra il 2003 ed il 2014. Flow accattivante fatto di sapienti incastri di parole, classiche rime e assonanze ed il tipico, e all’ora rivoluzionario, gioco nell’uso degli accenti. Disco compatto, forte, riconoscibile, emozionante per chi li ha sempre apprezzati, e infastidente per chi li ha odiati.

IL «SUONO» è old, volutamente, ma a differenza dell’ultimo disco di Pequeno dove Bassi Maestro è riuscito a dare una veste moderna a processi produttivi classici nell’era pre digitale è meno ricercato. Le tematiche del disco sono quelle che hanno contraddistinto la carriera del trio e non vedono ripensamenti nemmeno dopo 10 anni di importanti discorsi pubblici. Vita di periferia al margine tra legale ed illegale, rifiuto del benpensantismo – «Non ti voto (Nah), dell’orgoglio italiano me ne fotto»- sessismo e misoginia con inno al sesso come forma di dominio e di vanto «Bitches ad Ibiza preferiscono la droga al cazzo»oppure »Riempio la tua tipa come un tacos (Ahah)», una narrazione acritica e semplicistica, per quanto veritiera, della cocaina come sostanza tanto diffusa da sostituire la marijuana nell’uso comune, e l’elogio del successo come forma di rivalsa sociale sono la linea rossa che invade il disco.Le tematiche del disco sono quelle che hanno contraddistinto la carriera del trio e non vedono ripensamenti nemmeno dopo 10 anni di importanti discorsi pubblici. Vita di periferia al margine tra legale ed illegale, rifiuto del benpensantismo

ASSIEME ad un critica, non esplicita ma presente, alle trasformazioni di Milano – «Milano che ti sputa dopo che ti mastica» e della vita nelle città dell’oggi – «Con le città in preda al panico in mano di psicopatici con i serramanici (Ah)». In un genere dove la parola è centrale le problematicità che emergono non possono ritenersi secondarie. I Dogo hanno messo assieme in poco meno di 35 minuti 11 canzoni che tengono un piede nella tradizione della «golden age» del rap italiano e uno nelle sperimentazioni di inizio 2000.
Ripropongono la formula che li ha visti, con altri, riportare il rap nella discografia mainstream, genere che oggi domina le classifiche. «Sono in cima al Pirelli come Kong (Kong)/ Perché ho cambiato il rap italiano con le mie song (Uh)» di King Of The Jungle ha qualcosa di più di uno sguardo autorefenziale sulla loro carriera. I Club Dogo non sono più quelli di Mi First ma i Club Dogo di Club Dogo sono i Club Dogo al 100%.