La tecnologia non vien per nuocere: no ai Gafam, sì all’innovazione equa
Le proposte dei movimenti Al rifiuto degli strumenti dei grandi dell'high tech che puntano a sorvegliare e estromettere i piccoli produttori, le organizzazioni aggiungono l'idea di utilizzare macchinari e strumenti che migliorino la qualità del lavoro e rispettino la natura
Le proposte dei movimenti Al rifiuto degli strumenti dei grandi dell'high tech che puntano a sorvegliare e estromettere i piccoli produttori, le organizzazioni aggiungono l'idea di utilizzare macchinari e strumenti che migliorino la qualità del lavoro e rispettino la natura
La tecnologia dei Gafam o quella autonoma al servizio dei piccoli produttori? Mesi fa, il Centro internazionale intergovernativo per lo sviluppo integrato della montagna himalayana (Icimod) ha organizzato un seminario online sulla piccola meccanizzazione finalizzata in particolare a ridurre la fatica dei lavoratori rurali, con l’auspicabile sviluppo di macchinari e attrezzature basati sulle energie rinnovabili.
Risparmiare sforzi, migliorare le attività agricole incorporando anche la trasformazione e al tempo stesso non aumentare il contributo agricolo alla crisi climatica risponde a criteri di equità e sostenibilità.
Ma quando si parla di innovazione e tecnologia relativamente ai sistemi agroalimentari si può intendere anche altro. E così, due seminari fra i tanti organizzati dalla contro-mobilitazione dei movimenti sociali (piccoli produttori, popoli indigeni, ambientalisti, gruppi di ricerca e pressione politica dalla base: www.foodsystems4people.org) si sono soffermati su un gigantesco pericolo: il controllo privato di nuove e pervasive tecnologie – digitali e non solo – da più parti presentate come una soluzione alla crisi alimentare come a quella ambientale.
Nell’agenda dei famosi Gafam (i grandissimi patron dell’High-Tech, ancora più giganti dal 2020) c’è anche l’impegno a «riplasmare l’agroeconomia e i sistemi alimentari con gli strumenti digitali», ha detto Jim Tomas dell’Etc Group. «Compagnie come Amazon – che diventerà a breve il principale supermercato del mondo ma che ha anche le mani in pasta nel settore agroalimentare – Cargill e altre puntano sulla digitalizzazione nei campi, dai robot ai droni, dai trattori automatici ai sensori perfino sugli animali allevati. Sorveglianza, controllo, automazione. E oltre a risparmiare manodopera estromettendo i produttori, l’enorme massa di dati confluirà in piattaforme che rafforzeranno un sistema di capillare controllo».
Nei contesti più violenti, la sorveglianza da remoto può aiutare chi attenta alla vita degli attivisti o le operazioni di furto di terre e risorse. Perfino i droni per le fumigazioni non risparmiano più di tanto l’inquinamento dell’ambiente.
Non solo: la digitalizzazione viene anche offerta alle aziende agricole come uno strumento per sviluppare crediti da vendere sul fiorente mercato del carbonio, sempre più sviluppato visto che fioriscono, anche da parte delle grandi corporazioni, gli impegni di arrivare a zero emissioni nette entro pochi anni o decenni.
Ma di quali tecnologie hanno invece bisogno i produttori su piccola scala? Di quelle che concorrono alla sovranità alimentare, a una migliore qualità del lavoro e della vita nei campi, alla solidarietà economica, al diritto al cibo. Alcuni esempi offerti da Hamadi Abbas Mohammed, dell’organizzazione Adjmor in Mali: «Attrezzature a energia solare o eolica per l’irrigazione e la catena del freddo, macchinari per la trasformazione, sistemi di elettrificazione rurale, tecnologie agricole non inquinanti».
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