Un gruppo di scienziati di Cambridge ha creato embrioni sintetici con cellule staminali. L’obiettivo è lo studio dello sviluppo embrionale in laboratorio per una migliore comprensione dell’impatto dei disturbi genetici e delle condizioni biologiche che provocano aborti spontanei ricorrenti. Attualmente lo studio su embrioni naturali donati, soggiace al limite legale di un periodo massimo di 14 giorni. La speranza dei ricercatori è che con gli embrioni sintetici questo limite possa essere superato.

Non ci sono prove che questi embrioni possano evolvere fino a diventare feti. Ottenuti con cellule staminali di topi e impiantati nell’utero di un topo femmina non hanno prodotto una gravidanza. Non è chiaro se questo insuccesso sia dovuto a problemi riguardanti le caratteristiche intrinseche degli embrioni sintetici o a problemi di natura tecnica.

Come fa notare il giornalista del “Guardian”, che ha riportato la notizia, i progressi nel campo della sperimentazioni scientifica rendono rapidamente obsoleta la loro regolamentazione legale. Al di là dell’uso immediato di questi progressi, finalizzati secondo gli scienziati che li realizzano a una comprensione migliore delle malattie e a una loro terapia più efficace, è un dato di fatto che sempre di più una parte aggressiva della ricerca biomedica mira alla produzione di bambini in laboratorio e più in generale al controllo degli esseri umani come vere e proprie macchine biologiche da produrre, aggiustare e manutenere come tali. Questa “volontà di potenza” non è iscritta nelle intenzioni consapevoli dei ricercatori. È nella mentalità anonima che li anima e li muove, anche quando sono lontani dalle logiche di potere.

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La fantascienza prepara le guerre del futuro

La scienza è mossa da una passione irriducibile verso lo “sguardo di Dio”, che tutto può vedere e tutto può comprendere, ma sa che non può e non vuole raggiungerlo. Così questo sguardo diventa la sua Itaca e le regala la tensione creativa, il “bel viaggio”.
Gli scienziati diventati tecnici rischiano di essere abitati dallo “sguardo di Dio”. Nella volontà di possederlo, di essere tutt’uno con esso, finiranno per esserne posseduti. Il loro sogno, diventato un incubo, alienerà la loro mente e i loro sentimenti.

Gli alchimisti inseguivano il segreto della produzione chimica (sintetica) dell’oro, senza rendersi conto che se avessero scoperto l’oro avrebbe perso il suo significato che millenni di relazioni umane hanno costruito. Molti ricercatori, è anche clinici, non comprendono che gli esseri umani, e la loro salute fisica e psichica, sono il prodotto di relazioni tra di loro e con l’ambiente in cui vivono. Queste relazioni sono decisive, sia per lo sviluppo corporeo sia per quello del sistema nervoso, ma la medicina le sta, molto colpevolmente, dimenticando e cerca di sostituirle con il laboratorio. La pandemia ha mostrato la preponderanza delle cause extra-mediche nella sua determinazione, ma insistiamo nell’essere ciechi.

Con tutta la nostra potenza tecnologica il nostro rapporto con l’ambiente è catastrofico, il mondo in cui viviamo è un posto molto insicuro, la vita media si sta lentamente riducendo. La società del controllo minaccia il nostro futuro è non saranno i dispositivi legali a bonificarla. Bisogna disattivare i meccanismi che la rendono necessaria e ci inducono rassegnazione.

In primo luogo dobbiamo recuperare il pensiero critico, lo sguardo globale capace di cogliere prospettive diverse e di vivere nelle contraddizioni senza annullarle, lo sguardo che non pretende di controllare e fabbricare la realtà, ma apprende dalla sua esplorazione. In secondo luogo dobbiamo tornare a vivere pienamente nella convivialità, nell’incontro dei nostri sguardi e respiri. È tempo di impegnarsi nella disobbedienza al pensiero tecnico diventato “main stream” e nella ricostruzione degli spazi fisici e psichici della “società civile” che fanno circolare il pensiero e le emozioni.