La via delle sorelle, l’ultimo libro di Gaia Manzini edito da Bompiani (pp. 160, euro 16), è un testo che si inserisce in un filone narrativo e saggistico importante e autorevole sul tema della sorellanza, basti pensare ai lavori della studiosa e critica letteraria Monica Farnetti, ai suoi: Sorelle. Storia letteraria di una relazione edito da Carocci (2022) o L’eredità di Antigone. Sorelle e sorellanza nelle letterature, nelle arti e nella politica che ha curato con Giuliana Ortu per Franco Cesati editore (2019).

Il testo di Manzini si distingue per la sua originalità. La via delle sorelle, infatti, non appartiene semplicemente a un genere ibrido in cui si ritrovano riflessioni personali e annotazioni letterarie. Manzini mescola la materia autobiografica con riflessioni di natura varia, che spaziano dall’arte, alla letteratura, al lavoro e lo fa seguendo il faro della relazione tra donne. Nelle sue pagine, in effetti, è evidente che gli incontri, sulla cui importanza insiste in diversi punti, con amiche, colleghe, future nemiche sono stati fondamentali per la sua evoluzione, come se il confronto e il conflitto con le altre donne avesse segnato e a volte generato alcuni cambiamenti fondamentali nella sua vita.

IL TESTO SI APRE con un viaggio condiviso con Frida, una collega che ricomparirà nel corso delle pagine protagonista di un evento tragico e in questo incipit ciò che colpisce è il desiderio di sincerità di Manzini che pervade tutto il testo. L’autrice cerca infatti di raccontare la verità su una tematica spinosa quanto fondamentale quale quella della relazione tra donne, funestata da pregiudizi e ovvietà. Per esempio, nel rapporto con Frida esiste la complicità, ma ci sono anche la distanza, la differenza, il fastidio. Altrove Manzini ammette: «non credo che mi sia mai riuscita bene questa cosa di avere un progetto con un’amica e portare avanti con successo l’idea di un’amica».

Come accennato, la materia autobiografica in La via delle sorelle si alterna con racconti che riguardano relazioni di amicizia fra artiste: quella tra Virginia Woolf e Katherine Mansfield, per esempio, oggetto del libro Nessuna come lei di Sara De Simone per Neri Pozza (2023), tra Natalia Ginzburg e Angela Zucconi, il legame tra Anne Sexton e Sylvia Plath che si incontravano al bancone del Ritz a bere dei Martini. Le pagine su queste e altre amicizie illustri ben si combinano con i racconti di Manzini sulla sua parabola lavorativa in un’agenzia pubblicitaria, che si conclude definitivamente nel momento in cui il capo del suo ufficio diventa molesto con lei perché è una donna.

Anche la letteratura viene coinvolta in questa riflessione sulla relazione. Manzini scrive: «la lettura è una pratica di amicizia», come insegna anche il critico letterario Wayne Booth, secondo cui i personaggi e le personagge sono degli incontri, appunto, diventano la compagnia di chi legge. E per questo, secondo Booth, dovrebbero avere comportamenti etici.

NEL TESTO DI MANZINI invece non vengono indicate vie morali o preferibili proprio per il desiderio di svelamento interiore che connota il testo. Nella pratica del femminismo della differenza, ultimamente tanto vituperato quanto poco conosciuto, c’era un modo di dire, un’indicazione di metodo e di vita: «bisogna essere sempre almeno in due». Per tutto: per andare a una manifestazione, per sostenere una tesi, per affrontare la vita quotidiana. È bello sentire talvolta la eco di quella innegabile verità.