il manifesto – 31 gennaio 2014

«Si è così assicurata l’esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro alle quinte, tirano i fili degli uomini politici (…). Sono conservate le colossali fortune dei pochi e la miseria delle grandi masse (…). È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali e le forze del lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio».

(da «Il Manifesto di Ventotene», di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, testo del 29 agosto 1943, cap.1).

Nel pieno della guerra mondiale, gli antifascisti al confino di Ventotene vedevano il presente delle politiche economiche dei regimi totalitari.

Ma erano anche profeti sulla realtà del neoliberismo del nostro tempo. Il potere della finanza, le disuguaglianze estreme, lo sviluppo distorto, i privilegi dei ricchi li ritroviamo oggi nell’Europa neoliberista.

L’ideologia del mercato è diventata il nuovo totalitarismo. Non era questa l’integrazione europea sognata allora.