Il 21 dicembre del 1798 re Ferdinando III si imbarcava in fretta e furia per Palermo, non tralasciando di portare con sé tutta la roba. Di lì a un mese a Napoli era proclamata la Repubblica. La nave che aveva ospitato la poco dignitosa fuga della corte era guidata da un comandante d’eccezione, l’Ammiraglio Nelson, che il Borbone ricompensò nominandolo duca di Bronte.

La fame atavica di terra dei contadini del borgo alle pendici del vulcano non si placò per il solo fatto di essere tanto illustre il nuovo feudatario, che per la verità mai fu visto in zona; né gli eredi si distinsero per prodigalità.

Dopo sessant’anni in Sicilia scendeva Giuseppe Garibaldi, il primo a capire che per legare il meridione alla causa nazionale non bastava la retorica sulla sacra redenzione della Patria, ma che a questa andava legata la più profana promessa di redistribuzione delle terre tra chi da secoli le lavorava. A Bronte il nuovo verbo fu preso sul serio, e di brutto. Ne fecero le spese il prete e le baronie del posto. Fu ucciso anche il notaio, e fu appiccato il fuoco agli archivi, custodi degli inganni che avevano permesso ai signori di usurpare così a lungo i diritti della povera gente. Ma l’Inghilterra era un alleato troppo importante per la buona riuscita della spedizione dei mille, e la rappresaglia arrivò brutale per mano di Nino Bixio. Così la grande storia si abbatté su Bronte.

Il gruppo ci arriva più placidamente, dopo aver tratteggiato la costa tra Cefalù e Sant’Agata ed aver preso da lì la via dei Nebrodi. Si riscende a valle dopo aver scalato la Portella della Femmina Morta, e due traguardi volanti, uno, appunto, a Bronte, l’altro a Biancavilla, introducono alla scalata dell’Etna. Lì, più che dalle pendenze, i corridori sono respinti dal vento.

Jan Polanc aveva salutato tutti a Cefalù, e nessuno ha più la forza per uscire dal gruppo e andarlo a ripigliare. Taglia il traguardo tra i tifosi e gli rimane solo la forza di esultare. Più indietro, tra i campi di lava e le ginestre, Nibali aveva messo uno dei suoi a tirare, ma Quintana gli zampetta accanto, a suggerirgli che oggi è meglio lasciar perdere. Ci prova uguale, Nibali, e l’altro nemmeno si degna di rispondergli di persona, lasciando al vento il compito di respingere l’affronto. I due non si parlano, nemmeno per interposta bicicletta. E a proposito di vento, a fine tappa si veste di rosa Jungels, che l’altro giorno nel vento del golfo di Cagliari aveva seminato e oggi raccoglie.