Una telefonata notifica la necessità, in una scuola di provincia nel Nord, di un insegnante di sostegno: il protagonista ha richiesto il trasferimento lontano da casa per liberarsi di una madre emotivamente instabile e abusiva. Trasferitosi al Nord, il suo impiego sarà assistere Haochen, un ragazzo cinese affetto da ritardo mentale a causa di una paralisi cerebrale. È a partire da qui che Alfredo Palomba, nel suo Quando le belve arriveranno (Wojtek, pp.184, euro 16), scompagina di fronte al proprio lettore nove mesi di vita in una nuova città e in una nuova scuola, in cui la realtà si mescola all’incubo e la violenza è seconda solo all’indifferenza in cui avviene.

IL PROTAGONISTA entra in servizio nell’illusione che le maggiori difficoltà verranno dalla gestione dell’attività scolastica del giovane Haochen, «l’alieno» che, inconsapevole di ciò che lo circonda, inchiodato su una sedia a rotelle si limita ad agitare le braccia emettendo una sola sillaba, «ma». Haochen, nel suo mondo parallelo, si dimostrerà invece l’unico vero punto di ancoraggio in mezzo a una realtà abietta, punteggiata dalla meschineria e dalla cattiveria al limite del reato penale dei colleghi, dalla volgarità dei coinquilini, dalla violenza che si propaga come un cancro fra i cittadini della provincia.

UNA SORTA di allucinazione rende questo contagio visibile: sui volti delle persone, anche di quelle perbene, iniziano a comparire delle macchie nere, dapprima simili a nei, poi sempre più estese, come chiazze di olio che fagocitano i corpi. Il protagonista assiste a tutto ciò fra l’iniziale indifferenza e la completa impotenza: gli atti di bullismo nei confronti degli alunni più fragili, fino al suicidio di uno di loro, le vendette che un collega progetta contro completi sconosciuti per rifarsi della propria nullità, perfino gli incidenti stradali scorrono davanti agli occhi paralizzati del protagonista e ai nostri. La morbosa curiosità con cui assistiamo agli eventi descritti ci fa sentire parte attiva nell’indifferente susseguirsi di fatti, sintomi dello sfacelo di ogni senso di solidarietà, di comunità, di civiltà. Davvero affetti da «paralisi» siamo noi.

IL CONTAGIO da incubo, che progressivamente invade il libro magistralmente costruito di Palomba, asfissia il lettore. Ma a essere assediato è, prima di tutto, il protagonista, che sente ridursi giorno dopo giorno il proprio spazio sicuro: la sua stanza, in un’altra allucinazione, perde di fatto in fatto centimetri, e si rimpicciolisce così la zona di agio in cui potersi rifugiare. Gli intonaci si sgretolano e i calcinacci cadono sul letto del protagonista, che ne inala le polveri: esse aderiscono alle sue vie aeree e al suo apparato digerente, macchiando il suo corpo dall’interno con quelle stesse bolle oleose che rappresentano il virus della violenza e dell’indifferenza. Un contagio rispetto a cui pare non esservi altra zona franca che nell’inerme e ingiustificata gioia monocorde di Haochen.