La ragazza stuprata: «Chiudete la bocca invece di giudicare»
La diciannovenne di Palermo con coraggio rompe il silenzio su Tik Tok: «Sinceramente sono stanca di essere educata»
La diciannovenne di Palermo con coraggio rompe il silenzio su Tik Tok: «Sinceramente sono stanca di essere educata»
Con la notizia dell’arresto dei sette ragazzi che a Palermo hanno violentato una ragazza il luglio scorso, è spuntato fuori quasi subito anche l’account Tik Tok della vittima, insieme a tutto quel materiale considerato persino una possibile giustificazione per uno stupro: canzoncine doppiate degli idoli rap, pezzi musicali cantati davanti alla telecamera del proprio smartphone. Testi forti, con parolacce ed allusioni sessuali, da cui sono partite le voci «è una poco di buono», «se l’è andata a cercare», «guarda come si muove», commenti condivisi anche dalla madre di uno degli arrestati.
A TUTTO QUESTO è stata proprio lei a rispondere con una story dal suo account Instagram nella notte tra il 25 e il 26 agosto: «Sinceramente sono stanca di essere educata quindi ve lo dico in francese, mi avete rotto con cose del tipo: ‘ah ma fa i video su tik tok con delle canzoni oscene’, ‘è normale che poi le succede questo’, oppure ‘ma certo per come si veste ’».
È diventata «carne», una «gatta», «come nei porno», contro la sua volontà, svenuta la sera dello stupro più volte per andare altrove da quell’orrore. Le parole dei sette, violente e disumane, hanno parlato per lei e di lei per giorni sui giornali. Uno di questi ha scritto nome e cognome della giovane: Fnsi, Odg, Usigrai e l’associazione Giulia Giornaliste hanno denunciano la gravità di una tale violazione che espone «la giovane donna a una gogna mediatica».
MA ORA È LA DICIANNOVENNE a lavar via tutto, i pensieri di quelli per cui basta avere amici maschi per essere una «poco di buono» o uscire a divertirsi e bere per essere stuprata. «Purtroppo per voi mi ci asciugo il c… con sti commenti inutili perché sennò avrei già tolto i tik tok quando la notizia è saltata fuori perché già sapevo che qualcuno avrebbe fatto lo scaltro a dire stronzate, ma io rimango me stessa e manco se mi pagate cambio. Perciò chiudetevi la boccuccia, piuttosto che giudicare una ragazza stuprata».
Di quegli scaltri pronti a rivittimizzare e colpevolizzare ne è pieno il mondo, ne è pieno il pensar comune annidato in tanti e che non risparmia nessuna. Com’eri vestita? Perché ci sei andata se non lo conoscevi? Perché sei salita a casa sua?
«Non si è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme la desiderassero così tanto?», chiese un poliziotto a Franca Rame, violentata per punizione da un gruppo di cinque neofascisti nel marzo 1973. «Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?», chiedeva invece il giudice. La stessa mentalità di allora: «Tanto ti piace», hanno detto i sette di Palermo.
E anche la diciannovenne che come tutte le donne cresce sotto giudizio, sapeva non ne sarebbe fuggita. Il giudizio sulla «ragazza stuprata», come lei stessa si definisce, da parte di sconosciuti, opinione pubblica, giudici, forze dell’ordine e del mondo politico che strumentalizza mostrando il suo lato reazionario, come Salvini con la castrazione chimica.
Il paese in cui se una donna denuncia e ad andarci in mezzo sono personaggi famosi, o figli di personaggi noti, si levano scudi garantisti come mai per nessun reato. Ed escono i video di padri, politici in prima linea, prima fu Beppe Grillo, poi Ignazio La Russa, a non mettere in dubbio l’innocenza dei figli, ma anzi insinuando qualcosa di sbagliato in quelle ragazze: una volta le droghe, una volta l’atteggiamento troppo amichevole, una provocazione. «Vi scatta l’ormone appena vedete qualcuna che vi attrae, da costringerla a fare sesso? Complimenti per la mentalità», risponde la diciannovenne alle poche, per fortuna, critiche che gli arrivano sotto ai post, in mezzo a migliaia di messaggi solidali.
PERCHÉ SULL’ASSENZA di consenso si basa lo stupro, che per lo stupratore non è essenziale. «Ti rissi no», ti dissi no, ha scritto Non una di meno Palermo. I sette sanno ciò di cui si sono resi protagonisti, ma non sanno che è sbagliato. «Non è che poi spunta che l’avete stuprata?», aveva scritto un coetaneo al minorenne intenzionato a vendere il video online. Come credono non ci sia nulla di sbagliato i migliaia che in queste ore sono alla ricerca del video e lo chiedono offrendo denaro: uno stupro perpetuato nel tempo, e non meno colpevoli chi ne vuole fare parte.
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