La rabbia di Atene: «Non saremo il Libano d’Europa»
Grecia Richiamato l'ambasciatore a Vienna
Grecia Richiamato l'ambasciatore a Vienna
Mentre l’Europa discute in Grecia la situazione diventa ogni giorno più drammatica. Dopo settimane in cui la Macedonia ha fatto passare i migranti con il contagocce bloccando per di più gli afghani, da mercoledì Skopje ha messo i atto un nuovo giro di vite permettendo l’ingresso nel suo territorio a sole 100 persone al giorno. Una decisione che a Idomeni, dall’altro lato della frontiera, ha avuto l’effetto di provocare in ingorgo di rifugiati in attesa di poter passare. Ma anche di scatenare la reazione del governo greco, stanco di subire da settimane decisioni unilaterali prese sulla sua pelle. Come quelle adottate dalla Macedonia, ma anche dall’Austria che da giorni si è messa a capo di un fronte anti-greco composto dai paesi balcanici. «Non accetteremo mai che la Grecia diventi una prigione di anime, il Libano d’Europa, anche se vi fossero compensazioni finanziarie», ha detto ieri il ministro per l’Immigrazione Joannis Mouzalas, a Bruxelles per il consiglio Affari interni della Ue.
Ad Atene l’irritazione per l’incapacità che ancora una volta l’Unione europea sta dimostrando nell’affrontare la crisi dei migranti cresce con il passare dei giorni. Incapacità e inettitudine che danno modo alle capitali più restie ad accogliere quanti fuggono da guerra e terrorismo di agire di testa propria. Come ha fatto l’Austria, che mettendo un tetto al numero di rifugiati che è disposta ad accogliere e limitando gli ingressi dei richiedenti asilo a un massimo di 80 al giorno, ha spinto altri paesi a comportarsi allo stesso modo. Atene sa bene che simili comportamenti finiranno molto presto con il creare una crisi umanitaria che dovrà affrontare da sola nonostante le promesse di Bruxelles. Anche per questo ieri il ministro degli Esteri greco ha richiamato l’ambasciatore a Vienna Aliferi «per consultazioni miranti a salvaguardare le relazioni amichevoli fra gli Stati e i popoli dell’Austria e della Grecia». Formula diplomatica per dire che ormai siamo ai ferri corti e che il governo Tsipras non accetterà di pagare per tutti le conseguenze della più grave crisi di profughi dalla fine della seconda guerra mondiale.
I cui effetti tra l’altro sono già visibili. Secondo i dati forniti dall’Unhcr a Idomeni, al confine con la Macedonia, c’erano ieri 2.800 persone, in maggioranza siriano e iracheni. Altre 900 si trovano nella stazione di benzina Eko a Polykastro, una ventina di chilometri più a sud. A Atene i punti di accoglienza creati dal governo insieme all’Unhcr sono ormai pieni ben oltre la normale capacità di accoglienza: 1.400 persone nell’ex stadio di hokey, 900 a Eleonas. 1.250, in maggioranza afghani, sono alloggiate invece nel nuovo campo aperto di Schisto, vicino Atene, e 2.125 a Diavata (Salonicco), ma 2.000 rifugiati stanno anche dormendo all’addiaccio nel porto del Pireo. Sempre ad Atene da mesi almeno 300 persone dormono all’aperto in piazza Viktoria, dove ieri due pachistani hanno tentato il suicidio impiccandosi con sciarpe e magliette legate a un albero. Da due giorni, infine, 63 pullman carichi di uomini, donne e bambini sono bloccati lungo l’autostrada che collega Atene con Salonicco, tra le località di Lamia e Katerini. La polizia impedisce agli autisti di proseguire verso al frontiera finché la situazione non sarà tornata normale.
Dall’inizio dell’anno fino a oggi 101.257 rifugiati sono arrivati in Grecia dalla Turchia, mentre 410 hanno perso la vita attraversando il mar Egeo. Quasi tutti hanno lasciato il Paese subito, diretti verso il nord Europa. Adesso però, la situazione è cambiata: la frontiera con la Macedonia è praticamente chiusa e per di più sorvegliata da soldati provenienti da tutti i paesi balcanici come supporto a quelli di Skopje. E anche i controlli si sono fatti più severi. Fino a poco tempo fa per passare era sufficiente il foglio rilasciato dalla polizia greca subito dopo lo sbarco. Ora però le autorità macedoni pretendono anche un documento valido del Paese d’origine. Documento che molti non hanno più, spesso perché perso durante il viaggio, ma senza il quale non si passa. Rischiando così di trasformare la Grecia in un gigantesco campo profughi.
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