Per Giorgia Meloni le polemiche sul Mes «danneggiano l’Italia» e annuncia di volere aprire nel Consiglio europeo «un negoziato complessivo sulla governance europea». Nessuna ratifica del Mes, dunque.

Al di fuori di una discussione che riguardi anche il nuovo Patto di stabilità, il Pnrr, la politica monetaria. I problemi incalzano, l’economia rallenta, l’inflazione invece no, e poi la guerra, la crisi climatica, i migranti, ma il governo italiano arranca, non ha idee e proposte credibili, adotta sostanzialmente la politica del rinvio. Per mascherare le difficoltà della sua maggioranza, Giorgia Meloni fa il tiro al bersaglio sulla Bce e prende tempo. Confortata dai sondaggi confida in un’avanzata delle forze conservatrici alle elezioni europee del prossimo anno per riaprire le trattative da una posizione di forza.

La situazione del nostro paese non è tranquilla. Nonostante gli sguaiati e imprudenti osanna sull’andamento del Pil, i dati ci parlano di un calo sensibile della produzione industriale e di un rapporto deficit-Pil all’8 per cento, il più alto d’Europa in termini assoluti e relativi. Il debito viaggia verso i 3 mila miliardi, il Pnrr è al palo. Ostentare ottimismo, come fanno i giornali di area, appare del tutto fuori luogo. Al governo di destra non resta che procrastinare il momento della verità sui conti pubblici, scansare, almeno per ora, gli ostacoli e lavorare per cambiare gli equilibri nelle istituzioni dell’Unione.

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La leader di Fratelli d’Italia, che guida anche l’Erc party, il partito dei Conservatori europei, è pronta all’assalto del palazzo di Bruxelles e a dar vita ad una coalizione che porti nei posti di comando gli amici della variegata destra europea. Il presidente del Ppe, Weber, e il nostro ministro degli esteri, Taiani, sembrano della partita, strizzano l’occhio all’Erc sui respingimenti dei migranti, sulla negazione del diritto d’asilo, sull’anti-ambientalismo. Lavorano di sponda con una destra retrograda, che chiede la fine della supremazia della legge europea su quella nazionale, che teorizza “mani libere” sul tema dei diritti, della famiglia e della vita. Spingono verso una governance caratterizzata da meno Europa e più fedeltà atlantica, in cui all’Ue non resterebbe che una funzione meramente ancillare rispetto agli Stati Uniti.

Non è ancora chiaro, a questo punto, come il Pse intenda contrastare una deriva che cancellerebbe in poco tempo il progetto europeista e federalista. Sarebbe un grave errore se il Pd scegliesse la strada della difesa tout court dell’attuale configurazione dell’Ue. Una sinistra alternativa alla destra deve abbandonare posizioni di corto respiro, avviare un confronto aperto in tutti i paesi dell’Unione, ribadire che i valori di riferimento, per chiunque voglia cambiare lo stato delle cose, sono il lavoro, l’eguaglianza, la pace, la libertà, riconoscere che l’economia e il mercato non sono il fine, bensì strumenti di una politica che tende al benessere di tutti e alla sostenibilità ambientale. La destra non ha nulla a che fare con tutto questo. Il suo disegno è diametralmente opposto a quello del Manifesto di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che dal confino di Ventotene (1941) immaginavano già un’Europa autonoma, unita, federale.

In un’economia mondiale che procede a colpi di shock (finanziari, climatici, energetici, relazioni geopolitiche complicate, conflitti, migrazioni di massa), risalta la debolezza politica dell’Europa, incapace di esercitare il peso che storicamente le spetta. L’Ue è al carro degli eventi, senza propria politica estera e di difesa, vive nell’illusione che la crescita economica sia la panacea di tutti i mali. Non è, forse, a causa di uno sviluppo capitalistico a trazione liberista – in cui dominano l’individualismo, un consumismo esasperato, ingiustizie, discriminazioni e diseguaglianze di ogni tipo – che si è aperto il vaso di Pandora della demagogia populista, del nazionalismo, dell’intolleranza verso l’altro/diverso?

A una destra che usa l’Europa come parafulmine delle difficoltà e dei fallimenti nazionali, bisogna contrapporre l’idea-forza di una Unione europea “sovrana” nelle politiche fiscali e di bilancio, nelle materie ambientali e sociali, nel campo della sicurezza e della difesa. Non c’è Europa senza un trasferimento di poteri, di pezzi di sovranità, dagli Stati-nazione alle istituzioni sovranazionali. Nell’immediato, si tratta di rivendicare, in primo luogo, la sostituzione del voto all’unanimità col voto a maggioranza nel Consiglio europeo.

Il diritto di veto dei singoli Stati, come l’esperienza insegna, costituisce una palla al piede, un grave ostacolo all’avvio di un processo di riforma dell’Unione. La destra vende fumo e illusioni, ma può essere battuta sul terreno di una battaglia coerentemente europeista. Cominciamo dalle criticità del Pnrr, che rischiano di far saltare investimenti per decine di miliardi in infrastrutture e servizi. o, anche, dalla delega fiscale, del tutto incompatibile con un percorso serio e credibile di rientro dal debito.