Via libera a una revisione del bilancio 2021-2027 con 66 miliardi in più da destinare all’Ucraina (17), 15 per bloccare e gestire le migrazioni, 10 per finanziare le tecnologie, 18,9 per lo European Union Recovery Instrument che servirà a coprire i costi aggiuntivi dei prestiti di Next Generation Eu, generati dall’aumento dei tassi di interesse. Mentre gli altri spendono centinaia di miliardi, nessun «fondo sovrano» europeo per l’innovazione ma solo un riconfezionamento dei pochi fondi esistenti (160 miliardi in totale) per evitare il debito comune aborrito dai falchi dei paesi del Nord.

Sono gli annunci fatti ieri dalla Commissione Europea che ha presentato anche le linee di una nuova dottrina sulla sicurezza economica (ma le misure concrete sono state rinviate a fine anno). L’extra-spesa di 66 miliardi sarà decisa dal Consiglio e dal Parlamento Ue. Pur nelle ristrettezze del bilancio, e nella consueta cinica ipocrisia delle istituzioni europee, queste decisioni annunciate ieri dalla Commissione Europea tracciano il profilo di un continente che adeguerà alla nuova fase di una globalizzazione militarizzata e securitaria.

Sta così nascendo un nuovo modello di sviluppo che rientra in quella che gli economisti critici dell’EuroMemoGroup nel libro L’Europa nella policrisi. EuroMemorandum 2023 (scaricabile da pochi giorni dal sito di Sbilanciamoci.info) hanno definito «un’economia politica caratterizzata da flussi finanziari deregolamentati e da una fondamentale asimmetria delle relazioni economiche a favore dei centri finanziari sviluppati, e a discapito delle periferie delle economie nazionali meno sviluppate».

Nello specifico la Commissione Von Der Leyen ha proposto di rivedere il bilancio settennale aumentando le entrate che proverrebbero essenzialmente dagli introiti del sistema Ets (scambio di emissioni) e dal contributo degli stati basato sui profitti delle imprese. Ci sarebbe un prelievo dello 0,5% sul risultato lordo di gestione contabilizzate per ciascuno stato che, è stato precisato, non è un’imposta, ma un contributo nazionale pagato su base statistica. Nel continente degli egoismi nazionali organizzati, e concorrenti, la richiesta di versare risorse aggiuntive è molto problematica. I governi possono contrapporre il nazionalismo particolaristico a quello strategico e concorrenziale sbandierato dai tecnocrati. Così facendo potrebbero aumentare le classiche tensioni tra i paesi «frugali» e quelli «cicala».

All’esterno di queste dinamiche di potere c’è lo scontro tra imperi: Usa contro Cina. E l’Europa rischia di fare la fine del vaso di coccio. Quella illustrata da Von Der Leyen è la strategia del topolino tra i giganti. Rispetto alle strategie statunitensi e cinesi è drammaticamente sotto-capitalizzata, non può permettersi una rottura drastica (il cosiddetto «Decoupling») con la Cina da cui dipende l’industria tedesca esportatrice ma prospetta l’oscuro concetto del «de-risking», cioè la riduzione dei rischi di dipendenza e interferenza da Pechino.

L’obiettivo di un’autonomia strategica, idea nata dopo la policrisi pandemica ecologica ed economica (l’iper-inflazione), si è resa necessaria per contrastare gli effetti delle sanzioni extra-territoriali e secondarie degli Stati Uniti sugli interessi commerciali europei, denunciato per esempio da Macron a proposito dei maxi-sussidi investiti dall’Inflaction Act di Biden (da solo vale 738 miliardi di dollari) che alterano le dinamiche del commercio internazionale. Lo stesso vale per le contese sul prezzo del gas o le vendite delle armi.

All’ambizione di una «regionalizzazione» europea della globalizzazione mancano i capitali, la volontà politica e la capacitù di accorciare le catene di approvvigionamento. In compenso, osservano gli economisti dell’EuroMemoGroup, i conflitti globali tra Usa e Cina rischiano di essere traslati su scala europea.

Un’Europa trasformata nella retrovia della guerra russo-ucraina, ma pronta agli affari della «ricostruzione», un continente che rinsalda i confini della sua «Fortezza». Ecco come l’Ue si prepara alle prossime elezioni del 2024 quando si paventa il cambio di maggioranza al parlamento europeo. Il nazional-populismo non potrà che approfondire questa impostazione e colpire al cuore dei popolari europei che condividono, tra gli altri, quello che viene definito rally-around-the flag, cioè il raduno attorno alla bandiera sostenuto da un sostegno popolare a breve termine ai governi autoritari e conservatori durante i periodi di crisi internazionale o di guerra. L’alba di un mondo nuovo oltre l’ordine neoliberale può aspettare.