La pornografia che non si vede
Amore e violenza Puntare il dito contro la pornografia è fin troppo facile, quando ci sono casi come quello di Palermo, e viene il dubbio che sia un modo per non affrontare il sessismo in tutte le sue manifestazioni, a partire da quelle che passano invisibili perché considerate ‘normali’
Amore e violenza Puntare il dito contro la pornografia è fin troppo facile, quando ci sono casi come quello di Palermo, e viene il dubbio che sia un modo per non affrontare il sessismo in tutte le sue manifestazioni, a partire da quelle che passano invisibili perché considerate ‘normali’
La ministra delle Pari Opportunità, della Famiglia e della natalità, Eugenia Roccella, in una recente intervista al Quotidiano Nazionale ha sostenuto la necessità di limitare ai minori l’accesso ai siti porno, trovando in questo un alleato in Rocco Siffredi, e nella sua competenza in materia.
“C’è una pornografia – ha detto la ministra delle Pari Opportunità, della Famiglia e della natalità, Eugenia Roccella, – che è molto cambiata ed è sempre più violenta e umiliante nei confronti delle donne (…) attraverso il porno possono passare forme di sessualità brutali, e dobbiamo interrogarci sugli effetti che possono avere su un minore”.
Puntare il dito contro la pornografia è fin troppo facile, quando ci sono casi come quello di Palermo, e viene il dubbio che sia un modo per non affrontare il sessismo in tutte le sue manifestazioni, a partire da quelle che passano invisibili perché considerate ‘normali’. Una analoga via di fuga è la proposta della castrazione chimica per lo stupratore. Si potrebbe dire che il determinismo biologico ha un radicamento di incredibile durata, se non solo si continua a confondere la sessualità con la procreazione, ma a riportare sull’organo sessuale maschile forme di violenza e di aggressività che vengono dall’esercizio di un potere patriarcale millenario.
All’origine della “guerra tra i sessi”, come la chiama Pierre Bourdieu, c’è innanzi tutto la riduzione di quel primo “straniero” che l’uomo conosce nella condizione di figlio, nel momento della sua maggiore dipendenza e inermità, a “natura inferiore”, corpo, animalità, su cui poter affermare ‘legittimamente’ il dominio di un “principio paterno spirituale e immortale”, per usare le parole di Bachofen.
Nel libro Sesso e carattere, che ha avuto fin dalla sua uscita nel 1903 una straordinaria diffusione in tutto il mondo, scrive Otto Weininger: “La donna si consuma tutta nella vita sessuale, nella sfera dell’accoppiamento e della procreazione, nella relazione cioè di moglie e madre; essa ne viene totalmente assorbita, mentre l’uomo non è solamente sessuale (…) Se le si domanda che concetto abbia del proprio Io, ella non sa rappresentarsi null’altro che il proprio corpo (…) vuole ella stessa venire utilizzata dall’uomo quale mezzo per uno scopo, vuol venire trattata come una cosa, un oggetto, una sua proprietà, venire da lui plasmata e trasformata a suo piacere.”
Nella sua profonda misoginia, che lo porterà al suicidio a soli 23 anni, subito dopo aver finito la tesi di laurea – il libro che lo ha reso famoso -, non c’è dubbio che Weininger abbia portato allo scoperto il fondamento di quella Ragione che ha segnato il lungo percorso della cultura occidentale e che, nonostante tanti cambiamenti, continua a ricomparire.
In un recente sondaggio pubblicato sull’Ansa del 31 agosto 2023 è stato fatto notare che le donne “sono viste ancora come oggetto sessuale quanto e più degli anni 50”, segno che il neofemminismo e movimenti come il Metoo “non sono bastati a modificare la prospettiva”. Sui media e sui social il corpo femminile, per l’86% degli italiani, è sempre più esposto, e la sua rappresentazione sta peggiorando.
In realtà, un cambiamento c’è stato, ed è la maggiore libertà e consapevolezza con cui le donne oggi guardano al destino loro assegnato: l’identificazione col corpo, un corpo a cui altri ha dato forme, identità, ruoli. La violenza degli uomini mostra oggi il suo volto più cinico e selvaggio, oltre che arcaico, quando è praticata dal branco. Si può pensare che abbia influito in questo il venir meno di quei “riti di passaggio” che garantivano alla formazione del maschio la strada privilegiata verso corpi sociali di simili, dall’ esercito alla chiesa.
Ma sarebbe un errore fermare l’attenzione e lo sdegno soltanto sulla “violenza manifesta” e non rendersi conto che alla base degli stupri e dei femminicidi, passati al momento in ombra, c’è la stessa ideologia che, riducendo la donna a “corpo”, “cosa”, “oggetto”, “proprietà”, di fatto ne legittima l’uso e la violazione. Più insidiosa, perché “invisibile” è la violenza che passa come ‘normale’, coperta da altri interessi.
Penso in particolare all’immagine della donna che domina ancora oggi nella pubblicità: quei corpi esposti allo sguardo maschile che fecero dire a Luce Irigaray: “corpi stuprabili”. Perchè per vendere materassi c’è bisogno di una donna seminuda che vi si stende sopra? Pochi giorni fa si è visto il caso di una donna ricoperta di cioccolato su una tavola imbandita per il buffet dei dolci in un resort in Sardegna. Cosa può pensare un bambino davanti a queste immagini, se non che la donna è “da letto”, per dirla volgarmente, cioè essenzialmente sessualità, o che è una “pietanza”? La prima e la più duratura delle violenze invisibili è quella che passa attraverso le figure tradizionali del maschile e del femminile, le costruzioni di “genere” che strutturano ambiguamente sia rapporti di potere che quello che abbiamo finora chiamato amore: fusionalità, appartenenza intima a un altro essere, complementarietà.
Di fronte a casi di particolare efferatezza, come gli stupri praticati da un branco di minorenni, la proposta che è venuta dal versante istituzionale è stata di portare le vittime nelle scuole, dove dare testimonianza di quello che hanno subito. Non sono certo la spettacolarizzazione e il voyeurismo, di cui già abbondano la cultura di massa e i social, ad aiutarci contro una rappresentazione del mondo che le donne stesse hanno forzatamente fatta propria.
Nella scuola vanno portate le consapevolezze, i saperi e le pratiche di movimenti, come l’ antiautoritarismo e femminismo, che a partire dagli anni Settanta hanno formato nuove generazioni di donne e in parte anche di uomini.
Ma non è un caso che siano proprio alcune delle intuizioni più radicali di quel decennio -la messa a tema delle problematiche del corpo, della cancellazione della donna come persona, della critica ai ruoli di genere, ecc. – a essere ostacolate, per non dire osteggiate da chi oggi proclama a gran voce la necessità di “educare” e “prevenire”.
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