La plastica dilaga e la politica resta a guardare
Questa settimana, purtroppo, dobbiamo registrare un nuovo fallimento dei leader mondiali nel mettere a punto un’azione concreta in materia ambientale. Mentre in tutto il mondo centinaia di migliaia di giovani […]
Questa settimana, purtroppo, dobbiamo registrare un nuovo fallimento dei leader mondiali nel mettere a punto un’azione concreta in materia ambientale. Mentre in tutto il mondo centinaia di migliaia di giovani […]
Questa settimana, purtroppo, dobbiamo registrare un nuovo fallimento dei leader mondiali nel mettere a punto un’azione concreta in materia ambientale.
Mentre in tutto il mondo centinaia di migliaia di giovani scendevano in piazza per lo Sciopero del clima, i rappresentanti dei governi riuniti a Nairobi per la Quarta Assemblea delle Nazioni Unite sull’Ambiente non sono riusciti a mettere a punto un’azione efficace contro l’abuso di plastica. L’incontro si è concluso senza decisioni significative per contrastare l’inquinamento marino da plastica: la risoluzione approvata il 15 marzo, infatti, non comporta l’avvio di un processo per la definizione di un trattato vincolante.
Un risultato molto deludente, nonostante molti Paesi, tra cui l’Italia, abbiano riconosciuto la necessità di un’azione a favore di un accordo globale che obblighi tutti al suo rispetto.
L’impegno dell’Italia, ribadito dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa presente a Nairobi, è certamente importante e conferma la leadership su scala europea del nostro Paese per il bando progressivo della plastica.
Del resto, come dimostra un report del WWF Internazionale, l’Italia produce 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, di cui 497.000 (l’11%) sono dispersi in natura (il resto si divide tra discarica, incenerimento e riciclo). Il nostro Paese ha quindi grandi responsabilità e, come è avvenuto con il bando degli shopper, deve porsi all’avanguardia approvando l’atteso provvedimento SalvaMare che,tra l’altro, dovrebbe anticipare le normative europee sul superamento della plastica negli oggetti monouso.
Certo anche questo impegno non sarà risolutivo. L’inquinamento marino da plastica non ha confini e la risoluzione approvata a Nairobi non tutela né i nostri mari, né la nostra salute (le microplastiche sono entrate nella catena alimentare dei pesci). Oltre 8 milioni di tonnellate di plastica vanno a finire negli oceani ogni anno ed entro il 2030 è previsto il raddoppio della dispersione di rifiuti plastici in natura. La produzione di plastica vergine è aumentata di 200 volte dal 1950, con un tasso di crescita annuo del 4% fino al 2000. Nel 2016 la produzione di plastica ha raggiunto le 396 milioni di tonnellate che equivalgono a 53 kg per ogni persona al mondo.
Questi quantitativi, nel 2016, hanno causato emissioni per 2 miliardi di tonnellate di CO2, il 6% di quelle totali.
I costi ambientali e sociali di questo inquinamento ricadono sui consumatori e su chi ha la responsabilità della gestione dei rifiuti: è indispensabile un’azione urgente e coordinata per contrastare l’aumento incontrollato di questa tipologia di rifiuto.
Tutto il contrario di quanto accaduto a Nairobi, dove i Governi del mondo hanno scelto di non entrare in azione, perdendo così una grande opportunità. Un esito così deludente da mettere in discussione la capacità dei leader di ascoltare la richiesta di un’azione immediata che viene dai cittadini. Ma non per questo ci si deve fermare. È indispensabile continuare a mobilitarsi per ottenere un trattato che stabilisca obiettivi nazionali vincolanti e meccanismi trasparenti di rendicontazione, così come è necessario sostenere i Paesi meno ricchi a migliorare la loro capacità di gestione del ciclo dei rifiuti.
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