soccorso mediterraneo migranti
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La nostra resistenza alla guerra contro l’umanità

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Flotta civile La sera del prossimo 25 aprile termineranno i venti giorni di fermo amministrativo inflitti, insieme a una multa fino a 10mila euro, alla nostra nave Mare Jonio da parte del […]

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 7 aprile 2024

La sera del prossimo 25 aprile termineranno i venti giorni di fermo amministrativo inflitti, insieme a una multa fino a 10mila euro, alla nostra nave Mare Jonio da parte del governo Meloni in applicazione del famigerato decreto legge Piantedosi, come rappresaglia per la missione di soccorso compiuta lo scorso 4 Aprile nel Mediterraneo centrale. Sulla base delle norme inventate quindici mesi fa per colpire, ostacolare, impedire l’attività in mare delle navi di soccorso della flotta civile, il governo vuole infatti far pagare a Mediterranea il fatto di aver strappato dalle mani della cosiddetta guardia costiera libica, con un coraggioso intervento del nostro equipaggio, 56 persone il cui destino doveva essere la cattura e la deportazione, di nuovo, verso i campi di prigionia in Libia, l’orrore da cui stavano fuggendo.

Ma vogliono anche farci pagare la scelta di essere in mare, insieme alle altre Ong, a documentare, testimoniare, denunciare le quotidiane e sistematiche violazioni dei diritti umani di cui le milizie libiche (e ormai anche i militari tunisini) si rendono responsabili in nome e per conto dei loro padrini e finanziatori italiani ed europei.
Perché sono proprio le politiche di gestione delle frontiere esterne, da parte dei governi italiani e delle istituzioni europee, ad aver trasformato in questi anni le rotte del Mediterraneo centrale in una zona di guerra, di una guerra a più «bassa intensità», ma comunque guerra contro gli esseri umani, frammento di una globale e asimmetrica guerra civile. Civile in quanto le popolazioni civili ne sono il primo bersaglio e le principali vittime.

Una guerra, civile e globale, che negli ultimi tempi ha assunto una nuova e terribile, pervasiva dimensione, in cui ogni linea rossa di rispetto del diritto internazionale ad bellum e in bello è stata valicata, in cui ogni soglia del terrore e dell’orrore è stata oltrepassata, in cui sembra non esservi fine al perverso gioco del domino dell’estensione e dell’escalation. In Siria come in Afghanistan, in Sudan come in Chad, in Ucraina come a Gaza. Nel Mediterraneo centrale (e prima ancora nel deserto del Sahara e nelle città libiche e tunisine) la sua «bassa intensità» significa comunque migliaia di morti ogni anno e decine di migliaia di donne, uomini e bambini, respinti ai confini europei, e vittime di violenze e abusi, torture e stupri.

Ed è là, in questo mare che si esercita, dal 2018, la nostra piccola e parziale, ma tenace resistenza, nella pratica del soccorso in mare come sostegno alla disperata e coraggiosa, quotidiana lotta delle persone migranti per affermare nei fatti il fondamentale diritto alla libertà di movimento e alla speranza, alla ricerca di un futuro diverso e migliore della condizione nella propria terra d’origine, là dove è stato negato loro il diritto a restare.

Resistenza che significa diserzione. In questo caso diserzione alla guerra contro l’umanità condotta dalla politica migratoria dei nostri governi. Ed è per questa scelta di diserzione che, sui diversi teatri della guerra civile globale, la guerra all’umanità diventa sempre più spesso, anche, guerra all’ «umanitario», là dove chi opera per e con le popolazioni civili diventa esso stesso un target, un obiettivo da colpire con i missili dei droni. O con le raffiche di mitra dei miliziani libici in mare, in un crescendo di violente aggressioni che, negli ultimi sei mesi, hanno messo nel mirino, sempre più spesso, diverse navi della flotta civile.

Ma la diserzione dalla guerra civile globale, sia essa a «bassa» o «alta intensità», è forse oggi l’unica concreta possibilità per provare a disegnare un orizzonte di liberazione: in questo caso liberazione di donne, uomini e bambini dall’assurda violenza esercitata, prima, durante e dopo, dai confini, in mare come in terra.
Ed è per questo che il 25 aprile saremo in piazza a Milano accogliendo l’appello del manifesto, fisicamente e con un collegamento dalla nave Mare Jonio, in attesa di essere liberata e pronta a tornare là dove deve stare.

*Presidente di Mediterranea Saving Humans

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