La natura dell’amicizia dall’alto di «Le otto montagne»
Al cinema Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch firmano l'adattamento del romanzo di Paolo Cognetti, protagonisti Alessandro Borghi e Luca Marinelli
Al cinema Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch firmano l'adattamento del romanzo di Paolo Cognetti, protagonisti Alessandro Borghi e Luca Marinelli
Un film di luoghi interiori, di paesaggi dell’anima. Fragilità e solitudini che riverberano nell’immensità delle foreste alpine, tra cime impervie, laghi e torrenti ghiacciati, come in un western esistenziale, crepuscolare, senza eroi. Un buddy movie immerso nella natura. I due protagonisti di Le otto montagne, trasposizione dell’omonimo romanzo di Paolo Cognetti firmata dai belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch in concorso a Cannes, coltivano la loro amicizia ad alta quota, stretti nel formato ridotto che i registi rivendicano per allontanarsi dal rischio di un possibile effetto «cartolina» e restare invece ben centrati in un racconto che vuole essere principalmente umanista.
L’incontro tra Pietro e Bruno risale all’infanzia, quando il primo – bimbo di città – trascorre le vacanze in Val d’Aosta con i genitori, assecondando la passione del padre per la montagna; il secondo, figlio di un alpeggiatore partito per fare il muratore e quindi affidato agli zii, è l’ultimo bambino del paese. Alla spensieratezza dei giochi estivi seguirà un brusco allontanamento durante l’adolescenza, salvo poi ritrovarsi da giovani adulti, dopo che le loro strade hanno preso direzioni diverse e opposte. Pietro, alla costante ricerca di sé, si allontana dalla famiglia, dal padre, da quella vita confortevole che smette di essere rifugio e si spinge fino al Nepal; Bruno alle sue montagne non può invece rinunciare, e anzi coltiva ostinatamente il sogno di una vita aspra e pura, in una tensione alla wilderness che finisce per diventare ossessione, un po’ come accadeva in Into the Wild.
CINEMA d’autore dalla vocazione internazionale, Le otto montagne alterna la pretesa di un rigore estetico con scelte talvolta più condiscendenti (stridono le scelte musicali indie folk e gli accenti non del tutto credibili, mentre nella loro fisicità i due attori protagonisti, Luca Marinelli e Alessandro Borghi, sono perfettamente credibili e danno vita a un racconto che si fonda sul tema dell’amicizia maschile e sul rapporto uomo – natura). I tempi dilatati, la luce, i campi lunghi, i lenti movimenti di macchina, danno comunque il giusto respiro al racconto e ogni elemento narrativo finisce per trovare il suo senso: dagli elementi simbolici (l’albero sradicato, la baita, il senso del titolo) fino alle traiettorie di abbandoni e di riconciliazioni tra padri e figli. Una storia quasi sempre calibrata e solenne che racconta solitudini, smarrimenti e fughe. Con e senza ritorno.
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