Di fronte alla mozione sulla «verità storica e il 25 aprile» presentata dall’opposizione dopo le sparate del presidente Ignazio La Russa su via Rasella, la maggioranza ha scelto di presentare un proprio testo. Tuttavia, dicono dalla coalizione di destra, l’orientamento è quello di votare anche il documento delle opposizioni, che per questo motivo viene definito «mozione Segre». Un modo per trasformare il confronto in aula in un consesso pacificato e bipartisan, utilizzando (suo malgrado) l’autorevolezza della senatrice a vita.

La mediazione interna alla destra, frutto di un lavoro di cesello delicato all’interno della coalizione soprattutto dopo lo scivolone cospirazionista del ministro Lollobrigida, resta una summa della narrazione revisionista costruita passo dopo passo in questi anni di normalizzazione del postfascismo. Si condanna genericamente «ogni potere totalitario, a prescindere da qualunque ideologia» e si propone di inserire il 25 aprile in un elenco di «date che ricordano momenti fondamentali della storia dell’Italia unita, libera e democratica». Dunque, accanto alla festa della Liberazione si citano alcune delle ricorrenze proposte dal centrosinistra sulla scorta del discorso di Segre a Palazzo Madama ad inizio legislatura (la festa del lavoro del primo maggio, quella della Repubblica del 2 giugno e l’elezione dell’assemblea costituente del 17 marzo).

Ma, e qui sta l’escamotage, vi si aggiungono alcune pecette storiche quali la proclamazione del Regno d’Italia (4 novembre) e la festa dell’Unità d’Italia e delle Forze Armate. Poi si rimanda alla Shoah ma anche alla «memoria di pagine particolarmente significative come il giorno del ricordo, il 10 febbraio, in memoria dei massacri delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata». Nella premessa del testo, poi, si fa riferimento «ai tragici fatti del 16 aprile 1973 a Primavalle, nel contesto della diffusa violenza politica di quegli anni, con il comune auspicio che mai abbia a ripetersi una simile stagione». Impossibile non osservare come a pochi giorni dalla ricorrenza della Liberazione non si faccia alcun riferimento alla Resistenza, al ruolo dei partigiani, mentre si parla della necessità di «studiare il modo migliore per commemorare adeguatamente l’approvazione delle infami leggi razziali del 1938». L’obiettivo, inutile dirlo, è arrivare a «una riconciliazione» e alla «collaborazione tra tutte le istituzioni e le forze politiche».

A questo punto la domanda sulla giornata del 25 aprile incalza. Chi farà cosa nella prima festa della Liberazione con una premier non antifascista? Di Giorgia Meloni, appunto, si sa che andrà all’Altare della Patria con Mattarella e probabilmente anche con il revisionista La Russa. Qui la presidente del consiglio potrebbe diffondere un suo messaggio, che potrebbe rivendicare la fedeltà atlantista del governo e la resistenza degli Ucraini per confondere le acque sulla posta in palio della giornata. Il vicepremier Matteo Salvini, invece, dovrebbe essere impegnato in campagna elettorale in Brianza. E Lollobrigida? La sua presenza ingombrante è risolta: il ministro dell’agricoltura sarà in trasferta per il G7 in Giappone. Ieri, intanto, ha provato a emendarsi dalla dichiarazione sulla «sostituzione etnica» che ha reso evidente la cultura politica dalla quale proviene. «Non conosco i testi dei complottisti – dice – A questo punto penso siano più appassionati a leggerli a sinistra, e quindi esprimo in maniera diversa lo stesso tipo di concetto: la soluzione di avere una immigrazione che compensi il calo demografico in atto in Italia è per noi una soluzione secondaria». Ma persino la Lega, che pure non ha disdegnato in questi anni frequentazioni con l’estrema destra e strizzate d’occhio ai suoi linguaggi, prende le distanze: Lollobrigida ha pronunciato parole veramente brutte – dice il vicepresidente del senato Gianmarco Centinaio – Ha sbagliato la forma. E spesso la forma è sostanza».