La «Milano da bere» di zio Valter
Cartelli di strada Zio Valter aveva casa nei dintorni di piazza Missori, a meno di dieci minuti dal Duomo e dalla Galleria...
Cartelli di strada Zio Valter aveva casa nei dintorni di piazza Missori, a meno di dieci minuti dal Duomo e dalla Galleria...
Zio Valter aveva casa nei dintorni di piazza Missori, a meno di dieci minuti dal Duomo e dalla Galleria. Un minuscolo appartamento, quasi nel cuore della frizzante «Milano da bere» (slogan pubblicitario prima ed espressione giornalistica poi) degli anni ’80 contrassegnata da dinamismo e modernità. Provenienti dal ceto impiegatizio, alcuni attempati signori si godevano l’età della pensione alleggeriti da vincoli familiari: chi rimasto vedovo, chi reduce da divorzio, chi perseverava da scapolo, vantandosene, come zio Valter. Accomunati dalla condizione di «single» e dalla vocazione al disimpegno e ai piaceri, era stato facile per loro incontrarsi, diventare gruppo e cogliere le opportunità che offriva l’opulenta capitale lombarda.
Noi vi giungevamo, spinti da interesse verso le molteplici problematiche che la città contemporanea poneva, per visitare le mostre allestite con regolarità nel Palazzo dell’arte della Triennale in parco Sempione. A metà giornata passavamo da casa di zio Valter, che ci preparava l’immancabile risotto. Aspettando la ripartenza del treno a tarda sera, si usciva per il centro-città lasciandoci guidare da zio e suoi coetanei che via via si aggregavano. Destinazione, prestabilita, uno dei luoghi simbolo di Milano: le vie del Quadrilatero della moda. Moda e alta moda, settori che quella città laboriosa aveva saputo esaltare sì da diventarne un centro internazionale di riferimento. Le vie della moda brulicavano di boutique, showroom, atelier, dove fra le altre spiccavano le figure professionali del fashion design. Vi si organizzavano eventi a cadenza giornaliera e le dimore in cui avvenivano fungevano da templi della mondanità. Sullo sfondo sociale, la rincorsa al successo di una generazione votata all’edonismo e al rampantismo proliferata sotto le giunte socialiste che in quel periodo governavano la città. Cosa ci faceva fra via Monte Napoleone e via della Spiga la compagnia di pensionati ancorché briosi già sulla settantina? Abbigliati con completi sartoriali, ben rasati e azzimati, e la consueta brillantina che dava lucentezza ai capelli grigi emanando charme, si palesavano da tipici commenda.
E come tali si predisponevano all’imbucata nelle maison dei maggiori brand che fornivano anticipazioni delle nuove collezioni (per la stampa di settore e per gli ospiti di riguardo) fra appetitose tavole di buffet. E se ne tornavano con gadget e accessori che erano stati offerti ai convenuti: cappelli, cinture, foulard, sacche, occhiali. Dei quali lo zio, venendoci a trovare d’estate, riempiva una valigia apposita per noi. Articoli che magari non regalano più, nel Quadrilatero. Aveva fatto epoca, allora, la «Milano da bere».
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