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La marmellata cremonese

La marmellata cremoneseSofonisba Anguissola, "Ritratto di gentiluomo", cm 123 x 95, collezione Gian Enzo Sperone

Il museo circolare di Gian Enzo Sperone: Sofonisba Anguissola «Sono così felice di questo ritratto di Sofonisba Anguissola che... vi parlo di notifica, istituto che favorisce le mie smanie di collezionista. Ma vi parlo anche di Piero Manzoni...»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 20 agosto 2023

Questo bellissimo ritratto di un giovane di ventisette anni, elegante nonché sicuro di sé e di grande naturalezza, con una espressione non particolarmente accattivante, come di chi è in qualche modo aduso all’esercizio del potere, è stato dipinto da Sofonisba Anguissola nel 1558 quando aveva ventisei anni, mostrando già una alta qualità stilistica con padronanza assoluta della stesura pittorica e con effetti cromatici notevoli. La pittrice cremonese, di nobile famiglia, di bell’aspetto e tratti eleganti, prima di sette figli tra cui altre tre pittrici, fu mandata tredicenne per l’apprendistato presso Bernardino Campi, pittore lombardo (non collegato alla celebre famiglia dei Campi).
Considerata fanciulla prodigio, destinata a grandi successi, già a 18 anni, nel 1550, era descritta come «inter egregios pictores nostri temporis», e si rivelerà eccellente interprete del tardo Rinascimento, quello ancora «felice» e sfrontato, prima dei turbamenti post Concilio di Trento.
Trattandosi di una pittrice che raggiunge subito fama europea, al contrario di Lavinia Fontana e della celeberrima Artemisia Gentileschi, bisogna fermarsi un attimo a riflettere sulle particolarità di tutte queste donne – talentuosissime. Si tratta di donne che avevano scelto la carriera dell’arte non per intrattenimento, o come parte dell’educazione delle fanciulle di mondo, secondo l’uso dell’epoca nella maggioranza dei casi,  bensì come professione: cosa che era considerata a dir poco trasgressiva.
Sarebbero poi tutte entrate nella mitologia dell’arte.
Mi sono documentato subito dopo aver acquistato il quadro e vorrei quindi condividere con il lettore informazioni che mi sembrano rimarchevoli. Sofonisba fu notata da Michelangelo Buonarroti, che dopo aver visto un suo disegno con un fanciullo morso da un gambero (probabilmente il ritratto del fratello), disegno che precede il notissimo Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio, ebbe parole di apprezzamento.
Sofonisba fu anche citata e trattata con rispetto dal Vasari nelle sue Vite. Seppur giovanissima, entrò in contatto con i Gonzaga, i Farnese, gli Este, casate per le quali eseguì numerosi ritratti apprezzati da subito, sino ad arrivare come ospite in Spagna alla corte di Filippo II d’Asburgo. Là veniva remunerata per i suoi ritratti con pietre preziose, diamanti e stoffe pregiate senza essere mai assunta come pittrice di corte. Era stata invitata «graziosamente», oltre che per il suo talento di artista, come dama di compagnia della regina.
È stata sposata due volte; il primo marito, Fabrizio Moncada, fu ucciso dopo pochi anni in un combattimento su una nave attaccata dai pirati. Il secondo, un nobile genovese (con cui soggiornò dal 1579 e per trentacinque anni a Genova), aveva affari in Sicilia e la invitò poi a trasferirsi a Palermo, dove morì a 92 anni, per l’epoca un record da Guinnes. Il ventiquattrenne Van Dyck, pure indaffarato dai suoi impegni di pittore, affrontò i perigli di un viaggio sin là, per renderle omaggio e farle un ritratto che spiega come Sofonisba fosse ormai considerata una celebrità di reputazione internazionale (essendo anche lui, ormai, una celebrity).
Sono così felice di possedere il quadro che ritrae il giovane gentiluomo (peccato che gli storici non abbiano ancora individuato il nome) da permettermi qualche digressione che spero mi verrà perdonata. Noi collezionisti, infatti, al contrario dei bambini che avendola magari rubata non vogliono condividere la loro marmellata con alcuno, non aspettiamo altro che raccontare le nostre storie, che sono poi la nostra marmellata.
Non escludo nemmeno di cedere un giorno a un museo parte di questa mia marmellata, e sapete perché? Un po’ per patriottismo, come succede a chi ha passato trent’anni della sua vita all’estero, e poi perché lo Stato, attraverso le sue istituzioni, fa un grosso sforzo di conservazione. Tra l’altro mi ha indirettamente favorito, spesso «notificando» parecchie opere che io desideravo avere, ma il cui prezzo eccessivo (per me) si è poi dimezzato proprio in seguito a questo istituto. Esprimo paradossalmente gratitudine: io i quadri antichi non li devo mica vendere!
Li compro per diletto e per consolazione ma le risorse sono sempre limitate. Mi rendo conto di andare così dicendo in zona di eresia, perché il circuito dell’arte tutto mal tollera, per non dire detesta, questa specie di tagliola della notifica che rende molto difficile il rapporto con il resto del mondo: conosco numerose vertenze che vedono brillanti antiquari combattere personalmente contro i mulini a vento dello Stato. E forse mi costerà dei fischi.
Del resto, i pochi paesi in Europa che condividono con l’Italia la stessa consuetudine della «notifica», la esercitano tuttavia parcamente e raramente, fatta eccezione per opere di importanza storica eccezionale. Da noi la si attua con esagerazione e talvolta in modo obliquo.
Ciò detto, e tornando a questa «marmellata» che è per me il quadro di Sofonisba, vorrei aggiungere una coincidenza divertente. Quando la pittrice ancora giovanissima si recò al Castello di Soncino, vicino Cremona, per ritrarre il terzo marchese (all’epoca marchesino) di Soncino, non poteva sapere o quanto meno immaginare che proprio lì, in un palazzo di Soncino, sarebbe nato, circa quattrocento anni dopo, un suo collega: il più trasgressivo artista italiano del nostro tempo, e cioè Piero Manzoni. Anche lui di nobile famiglia, ha fatto dei ritratti eseguendo semplicemente dei piedestalli in legno su cui chiunque salisse diventava immediatamente un’opera d’arte.
Tra l’altro la sorella di Piero, la contessa Manzoni, mi ha detto molti anni fa che la loro famiglia aveva radici molto più antiche di quella del genio letterario, anche lui lombardo, conte Alessandro Manzoni. Scherzava naturalmente, ma quella era la verità.
Il suo amatissimo e sfortunato fratello Piero aveva dovuto subire, prima di morire a 30 anni nel 1963, sberleffi e disapprovazione a causa della sua intelligenza provocatoria e ribelle. Fu poi celebre nel mondo delle trasgressioni artistiche per le scatolette con la «merda d’artista» e per i suoi quadri interamente bianchi.

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